Da oggi, siamo al primo quarto di luna
Il numero di oggi di Braccia Rubate parte, eccezionalmente, con il primo quarto di luna, una settimana dopo la luna nuova di mercoledƬ 2 ottobre.
Ć in ritardo innanzitutto, per onestĆ , perchĆ© non ce lāho fatta, ma anche perchĆ© il primo quarto arriva nel giorno del mio compleanno e mi piace lāidea che un pezzo della giornata sia dedicato a questo, e poi perchĆ© da che ho memoria il mio compleanno, in famiglia, cade nei giorni in cui si raccolgono le olive. Rituale che scavalca qualunque pretesa di festeggiamenti e che in realtĆ amo molto di piĆ¹ di torte, candele, regali e auguri: per il compleanno posso salire sugli alberi, dico, che altro regalo potrei volere? Salire su un ulivo ĆØ semplice, non ĆØ un pioppo alto e dritto, ĆØ un albero contorto, basso, forte ā fortissimo: i rami di un ulivo non si spezzano, ti tengono, non ti lasciano cadere, mai ā; se ben potato ha una culla vuota, al centro, nascosta dalla chioma, che si apre verso il cielo.
Esatto: io sono quella che perde tempo a guardare le nuvole, mentre il resto della famiglia raccoglie le olive: dāaltro canto, ĆØ la mia festa, mica la loro.
Per questo numero ospito i testi e le immagini di Riccardo Larosa di Orto raccolto di Andria, in Puglia e di Alessandra Turci (che ormai ĆØ una vecchia conoscenza di questa newsletter!) di Diano Green a Diano San Pietro, in Liguria, che ci raccontano la loro raccolta delle olive; e poi Ilenia Sara, cuoca, artista, contadina e sarta anarchica, di Serramanna, in Sardegna, con una lettera in risposta dello scorso numero, dedicato ai semi.
Prima di cominciare, avviso in bacheca: dal 18 al 20 ottobre sarĆ² a Viterbo con Carola Susani e Raffaella Sarracino, per un corso di lettura e di scrittura sui luoghi, sugli orti segreti, sulla terra di cui prendersi cura, da coltivare e da seminare. Leggeremo, forse semineremo dei ravanelli, se i frati del convento agostiniano della SS.ma TrinitĆ saranno dāaccordo nel lasciarci armeggiare fra i loro filari. Poi scriveremo e ci rileggeremo a vicenda. Questo il piano: ma conto che ci saranno diversi fuori programma.
Tutte le informazioni sono qui, se dici che leggi Braccia Rubate cāĆØ uno sconto (sulla parola: niente codici, niente buoni, niente restrizioni) del 10% e un poā.
Col tempo delle olive il mondo si ferma
di Riccardo Larosa, Orto raccolto
Italia, Puglia, Andria, la cittĆ dellāolio e voi direte una delle tante, e invece Andria ĆØ la Capitale italiana dellāolio con il 4% della produzione nazionale e 12 mila ettari di superficie olivetata.
Una superficie immensa, si parla di olivicoltura specializzata, meccanizzata, super intensiva, una costellazione di migliaia di aziende grandi, medie, piccole e piccolissime.
Qui coltura e cultura olivicola si incontrano. Lāannata agraria che comincia il giorno dopo la raccolta e si conclude con la stessa, prevede una serie di āpratiche premuroseā che vanno dalla potatura, ai trattamenti per la difesa fitosanitaria, alle lavorazioni del terreno, allo spollonamento, interventi che accompagnano lāalbero di olivo, giovane o secolare, sino ai giorni della raccolta.
La raccolta, meccanizzata o manuale che sia, rimane sempre un rito, nel periodo che va da fine ottobre sino a metĆ gennaio qui non si fa e non si parla di altro: a quanto vanno oggi le olive? (prezzo) Che resa hai ottenuto dalla molitura? (quantitĆ di olio dalla molitura delle olive) Che prezzo ha l'olio?
Tutti hanno un pezzo di terreno con degli olivi, un āfazzoletto di terraā che si tramanda da padre in figlio per āfare l'olio per noiā, che se a fine anno sommi le spese ti conviene di sicuro andare al frantoio e acquistare lāolio, ma vuoi mettere lāolio delle terra nostra?
Anche la mia famiglia ā fatta da generazioni di agricoltori, ortolani ā possiede un piccolo fondo di trenta are, l'equivalente di tremila metri quadrati, in cui ci sono sessanta alberi di olivo, non abbiamo attrezzi per la raccolta, zero meccanizzazione.
In quei giorni (generalmente sabato e domenica) viene lo zio che porta i teli, le verghe, e le mezze verghe, mazze di diversa lunghezza che ti permettono di raccogliere le olive a tutte le altezze a cui sono posizionate sugli alberi. Il metodo di raccolta utilizzato ĆØ lāabbacchiatura: colpire i poveri alberi con le mazze finchĆ© sono cadute tutte le olive, ci sarebbero delle tecniche per colpire e non far danni, ma noi siamo ortolani da tre generazioni mica olivicoltori.
Quindi per noi la raccolta delle olive dura due giorni, ma per me sin da bambino ed ancora adesso ĆØ come se durasse settimane, mesi.Ā
La convocazione arriva come un fulmine a ciel sereno, quando un venerdƬ di metĆ novembre ricevo la chiamata di mio padre che dice con tono autoritario: ādomani a raccogliere le olive!ā. Passo e chiudo.
Non hai diritto di replica, non puoi opporti, chiedere una proroga o avere impedimenti fisici o morali, devi!
In quei secondi ti scorre davanti agli occhi tutto il weekend, escursioni e uscite fuori porta, la sagra della castagna in qualche remoto paesino della Basilicata il tutto organizzato e programmato sin dallāestate, ma col tempo delle olive il mondo si ferma.
Non ci sono danze della pioggia che tengano, il rituale si ripeterĆ anche quest'anno, ĆØ tutto pronto, ma ora ĆØ giĆ martedƬ e sto giĆ gustando un bel piatto di orecchiette con le rape e lāolio nuovo.
_
Nota a margine: ho assaggiato lāolio di Riccardo, sul pane, coi pomodori e lāorigano fresco (una delle cose piĆ¹ buone del mondo, il pane con lāolio: siamo dāaccordo su questo, no?), quando sono andata ad Andria me ne sono tornata a casa con una latta dāolio, bottino prezioso e pungente. Se vuoi ordinarlo, puoi scrivere a Riccardo su instagram.
La raccolta ĆØ una questione sartoriale
di Alessandra Turci, Diano Green
Prima ancora delle olive, mi ricordo di Olivia, ĆØ stata lei a folgorarmi inizialmente.
Erano i tempi in cui, appena potevo, seguivo come un segugio Gino nei suoi uliveti. Aveva molti alberi (anche se in Liguria āmoltoā equivale a numeri esigui rispetto a geografie di piĆ¹ larghe possibilitĆ ), molti alberi sparpagliati in diverse colline, alcuni piĆ¹ a valle, a respirare brezza marina, altri piĆ¹ a monte, mescolati con i primi sentori del bosco.
La freccia dāamore per gli ulivi, scoccata nel mio petto tanti anni fa, continua a riaccendersi dāun sentimento ardente, seppur cambiato, come tutte le relazioni che durano, ogni volta che arriva il tempo della raccolta e con lei i preparativi rituali, i presagi scaramantici e le previsioni meteo, i bollettini a cadenza settimanale con le stime della mosca, comune per comune, e fiumi di ricordi, raccontati da chiunque incontri, lƬ a rievocare le annate miracolose e quelle disgraziate.Ā Ā
Sul suo malandato pick-up Gino caricava chilometri di reti e srotolarle era un lavoraccio giĆ da principio. Ć qui che incontro, per la prima volta, Olivia, tirata fuori da una scatola sbiadita con gesti lenti e scrupolosi, sembrava che stesse rinvenendo un prezioso reperto archeologico. Olivia invece non era poi cosƬ vecchia e antica, anzi, ĆØ abbastanza comune e perfettamente funzionante. Olivia ĆØ una cucitrice per reti portatile.
Una volta conosciuta, lāho rivista spesso.
Anche Maria aveva lāOlivia, se la metteva al collo con una striscia di stoffa a fiori e la portava su e giĆ¹ per le fasce con grande disinvoltura, nonostante il peso. Mentre cuciva canticchiava un ritornello che ripeteva le 5 S degli ulivi: Sud, Secco, Sassi, Sole, Silenzio.
Gliene mancava sempre una, diceva che era colpa dellāetĆ .
Che ci fossero le reti da stendere per la raccolta era ovvio ed evidente ma che si cucissero, una a una, con precisione certosina per farle passare intorno agli alberi, sopra i muri a secco, per farle scendere senza intoppo lungo i ripidi fianchi di una terra cosƬ verticale che nei suoi sogni ha prati pianeggianti, ecco, questo non lo immaginavo.
La raccolta ha unāanima che prima dāessere spremuta viene tessuta, la raccolta ĆØ una questione sartoriale di primaria importanza che cuce insieme le reti, le emozioni, la fatica, la pazienza e il tempo.
Non basta una giornata, nemmeno due o tre, servono settimane intere di lavoro per sistemare tutte le reti a terra e se sono rotte, il rattoppo lo si fa a mano con aghi larghi e lunghi, tipo punzoni dāistrice, e fili dallāaria indistruttibile.Ā Ā Ā
Fosse anche solo per questo, il valore dellāolio ĆØ inestimabile.Ā
In ottobre, quando aprono i frantoi e si comincia a sbattere, ĆØ questa sartoria di nobile dedizione a vestire la campagna a festa, elegante nei suoi veli verdi distesi come manti, drappeggiati alla vita agli alberi, a balze sulle radici sporgenti. A volte le reti sono bianche, nuziali.
Lāalta moda dellāautunno a Ponente.
Ć un momento di rara bellezza, cantico dāaltri tempi, eppure, a viverla, mi capitava di venir presa dalla gioia e dalla malinconia, fiutando un mondo forse destinato a perdere, a sparire, in bilico.
Per questo credo di aver desiderato, per molti anni, un uliveto tutto mio, seguendo la scia di quella malinconia volevo salvaguardare un pezzo di terra e fare la mia parte.
Ma ogni volta che dichiaravo le mie intenzioni dāamore e futuro per gli ulivi, cāera un coro di voci a ricordarmi che la raccolta ĆØ fatica, ĆØ tenacia, ĆØ resistenza e lo sforzo ĆØ talmente grande, e la resa talvolta cosƬ magra, che si finisce col perdere la poesia.
Chi pianta ulivi pianta miseria, mi dicevano, lāulivo ĆØ lāalbero della fame, mi ripetevano.
Non ho desistito, ho continuato a cercare un uliveto in lungo e in largo, arrivandoci sempre molto vicina ma senza mai riuscire a comprarlo e, intanto, guardavo con bramosia la raccolta degli altri, le quarte dāolive, il desiderio di imbottigliare lāolio mio.
Sarei stata da sola a occuparmi dellāuliveto, chiedendo aiuto allāoccorrenza.
Quanta ingenuitĆ e quanta ostinazione per amore!
La caparbia ricerca ĆØ durata fino a quando, dopo la raccolta di un paio dāanni fa, festeggiando la buona annata con lāolio novello su una fetta di pane bruscato, Fabrizio, che ha un piccolo appezzamento di una quarantina di alberi secolari, spettinati, che pulisce il minimo indispensabile, mi guarda e mi dice, sai, gli ulivi sono i custodi del tempo e della memoria, non hanno bisogno delle nostre cure, siamo noi che da loro prendiamo e, con lāillusione di occuparci di loro, godiamo del privilegio della loro vicinanza. La veritĆ ĆØ che piĆ¹ dellāolio, prezioso ĆØ il soffio dāeternitĆ che si respira standogli vicino. Non hai bisogno di comprare, se la caveranno sempre gli ulivi, nonostante tutto, nonostante noi.
LāeternitĆ ĆØ il loro respiro.
CosƬ, inaspettatamente, ĆØ in un pomeriggio dāottobre che lāorizzonte ĆØ cambiato e il respiro ha sciolto le preoccupazioni sullāavvenire, dissolvendo la malinconia conĀ un soffio di riconoscenza.
Domani vado con Giorgio a sbattere le olive in una delle campagne vicino a casa.
So dove prendere lāolio buono e dai tre ulivi che ho in giardino ho giĆ riempito quattro arbanelle di taggiasche da mettere in salamoia.
La poesia resta ed ĆØ sempre qui.Ā Ā
Piccola storia di semi
di Ilenia Sara, SartoriAnarchia
Ć iniziato tutto con la musica.
E con il fuoco.
Non era rimasto molto nellāorto di mio suocero, le fiamme quella notte erano state affamate.
Eppure, tra il nero soffice e polveroso, ancora caldo, dāimprovviso uno scampanellio dorato.
Immaginate un quarto di ettaro nero di fuliggine ma attraversato da una vena chiara e sonora: i ceci.
Ecco la musica.
Ed ecco che la mia vita ĆØ cambiata grazie ad una manciata di semi, di legumi per la precisione.
I baccelli secchi dei ceci sono piccole culle, sonagli armonizzanti.
Il suono della natura ha la frequenza giusta per guarirci, per calmarci.
Sembravano un miraggio cosƬ luminosi in mezzo a tutto quel nero e nella loro resistenza allāincendio ci ho visto la forza di unāapparizione: era il segnale che aspettavo per la svolta che dentro di me giĆ iniziava a scalciare da qualche tempo.
Raccolsi tutti i ceci rimasti, alcuni erano giĆ insinuati tra le zolle secche di terra arida. Altri li ho lasciati per rinascere.
Era la prima volta che li avevo tra le mie mani, pungenti, croccanti. Per un giorno intero li ho lasciati in ammollo, li ho cotti in poca acqua e alloro, come facevano mia nonna e mia madre. La pentola deve essere piccola e tonda.
Non era certamente la prima volta che mangiavo ceci, i legumi qui in Campidano sono sempre stati cibo quotidiano, ma per la prima volta li avevo visti nella loro integritĆ . Li avevo sgranati e contemplati. E quando il cibo che mangiamo arriva dalle nostre stesse mani, ha un sapore diverso, e non per egocentrismo, ma perchĆ© il valore di un qualcosa lo capiamo solo quando ne vediamo lāorigine. Lo spreco alimentare, secondo me, nasce proprio dal fatto che non abbiamo piĆ¹ idea del tempo e della fatica che ci vogliono anche solo per una manciata di legumi. Quando coltivi e prepari il tuo cibo non lo sprechi mai, non puoi proprio farlo, semmai inventi sempre nuove ricette pur di recuperare anche una semplice fetta di pane.
Dopo sei anni, lāorto ĆØ in mano mia: ceci dorati e neri, cannellini, borlotti, fagioli rossi e blu, fave, piselli, cicerchie, lenticchie, fagiolini. Il terreno ĆØ sciolto, ricco di azoto. Lavoro solo a mano, con grelinette e zappa, che i lombrichi non amano la fresa.
Metto sul fuoco un soffritto di aglio selvatico raccolto lungo il fiume, olio abbondante delle nostre olive, cavolo, patate e ceci. Per ultimo una manciata di sorgo. Tutto arriva dallāorto.
Tutto ha il sapore dellāautonomia, della storia, della cultura contadina che dobbiamo difendere a qualsiasi costo. Non serve avere un orto, serve che riprendiamo in mano le ricette delle nonne, a base di ingredienti semplici come i legumi, le verdure fresche, cereali integrali. Il vero cibo consolatorio ĆØ quello che nutre, non quello creato industrialmente solo per renderci dipendenti da esso. Se vogliamo fare qualcosa per noi stessi e per la nostra Terra, dobbiamo dedicare cura e tempo alla spesa, ritornando ai mercati rionali e cercando il piccolo coltivatore che si piega la schiena per raccogliere lāinsalata, quello che conosce il tempo, quello che toglie le lumache a mano. E badate bene che ce ne sono ed anche tanti e soprattutto giovani. Se vogliamo il cambiamento dobbiamo farlo, cercarlo.
Spengo il fuoco, lascio riposare. Nel mentre apparecchio con cura anche se sono sola ed anche se ĆØ un lunedƬ qualsiasi di lavoro: la tovaglia era di nonna ed i piatti sessantini non lo so, li ho acquistati per pochi euro allāusato. La zuppa ĆØ densa, la verso su una fetta di pane raffermo di semola e lievito madre fatto da me, impastato a mano, cotto nel fornetto Versilia.
Aggiungo a crudo lāolio.
Mi siedo, lascio il telefono ben lontano dal tavolo, assaporo in silenzio il mio cibo e mi sento terribilmente ricca.
CosƬ, mentre le nostre olive sono al frantoio, in attesa di sapere quantāolio renderanno quei quasi tre quintali ā annata buona per le poche piante che abbiamo, non eccezionale, meglio sicuramente dello scorso anno ā, e con lāinterno degli avambracci e il collo ancora segnati dalle foglie dāulivo (che sono dure ma non troppo, hanno bordi che graffiano leggermente: da rossore, non da sangue), sono arrivata al termine di questa newsletter: e anche tu.
Se hai letto tutto: grazie. Se hai spiluccato qui e lƬ e per poi arrivare a leggere le conclusioni: lo faccio sempre anchāio, ti capisco.
Braccia Rubate torna con la luna piena del 17 ottobre, con Sentieri di Maria Claudia.
Se nel frattempo riesci ad assaggiare lāolio nuovo e vuoi farci sapere comāĆØ, se hai un ulivo del cuore o un rituale di raccolta, qualunque esso sia, e vuoi raccontarci tutto: scrivi a bracciarubatenewsletter@gmail.com.
Buon compleanno a me, e grazie a te per aver speso un pezzetto di questa giornata a farmi compagnia.
Barbara