Holz è un’antica parola per dire bosco. Nel bosco ci sono sentieri (Wege) che, sovente ricoperti di erbe, si interrompono improvvisamente nel fitto. Si chiamano Holzwege. Ognuno di essi procede per suo conto, ma nel medesimo bosco. L’uno sembra sovente l’altro: ma sembra soltanto. Legnaioli e guardaboschi li conoscono bene. Essi sanno che cosa significa “trovarsi su un sentiero che, interrompendosi, svia”. Martin Heiddeger, Sentieri interrotti (traduzione di Pietro Chiodi)
Sta scendendo l’imbrunire, e secondo i calcoli in questo momento la luna è al suo apice, piena e leggermente sfumata di rosa: è il plenilunio delle fragole che conduce verso l’estate.
Come per la luna piena di giugno dell’anno scorso, nel numero 25 di Sentieri Luce d’estate, anche oggi ce ne andiamo al mare. Anzi, ci incamminiamo per proseguire il sentiero a luglio, con un altro numero dedicato.
Il consiglio di lettura conduce alla scoperta del sentimento del mare con Evelina Santangelo che nel suo nuovo romanzo offre molti spunti, personali e non, per conoscere aspetti diversi del mare, le sue voci e le sue genti; un mare sicuramente lontano dall’idea diffusa di spiaggia e ombrellone.
Il mare ecosistema da preservare, oggetto di forti cambiamenti dovuti ai danni causati dall’uomo (inquinamento da plastica, pesca eccessiva, erosione delle coste ed emergenza climatica), è approfondito invece nel saggio del biologo e scrittore Danilo Zagaria, In alto mare, di cui grazie ad add editore possiamo leggerne un estratto.
Infine, tornano i sassolini, per portarci nel mondo dell’infanzia (sempre utile anche agli adulti), grazie a Ilaria Campodonico che suggerisce la lettura di un Alberto Moravia insolito, con l’unico libro scritto per i bambini.
Buona lettura, e soprattutto buon mare. Provate ad accarezzarlo.
Maria Claudia
Il sentimento del mare
“Un sub che scende con le bombole si guarda intorno, un apneista che scende si guarda dentro”. Le parole degli apneisti Fausto e Gaetano mi hanno aperto un mondo affascinante, non privo di pericoli ma allo stesso tempo pieno di bellezza e di pace; mi chiedo come ho fatto a non pensarci mai.
L’apnea in mare che conosco è quella semplice del “vediamo quanto resisti sott’acqua” che abbiamo sperimentato un po’ tutti da bambini. Ho imparato però ad alternare apnea positiva e negativa grazie alla meditazione ma in acqua non ho mai provato, se non per il tempo di una nuotata veloce. Adesso vorrei fare sul serio. Il silenzio, il controllo della mente e del corpo, uniti nella profondità del mare: cosa dev’essere! Sentirsi tutt’uno con l’elemento dell’acqua, così accogliente e rilassante se la si asseconda, così minacciosa se la si sfida o se ci si lascia prendere dalla paura. “L’apnea è un dialogo con sé stessi, un’esperienza mistica”, un dissolvere la distanza tra te e il mare.
Sei pesce, sei mare, ritorni allo stato prenatale.
L’incontro con i due apneisti è una delle numerose storie che emergono dalle pagine de Il sentimento del mare di Evelina Santangelo, pubblicato da Einaudi poche settimane fa. L’autrice, mossa dal desiderio di ritrovarsi, di chiudere cerchi, di sciogliere questioni irrisolte della sua vita per recuperare quell’intimità con l’acqua che aveva segnato la sua infanzia, ci regala un romanzo un po’ frammentato, in cui il mare è protagonista nella sua ambivalenza: forza indomabile e benessere assoluto, luogo temibile e incantevole, comunque alla portata di tutti.
Tra le molte vicende rievocate leggiamo delle instancabili donne di Lipari che negli anni Cinquanta hanno affrontato enormi fatiche per strappare qualche risorsa alla terra e alle onde, delle gesta di chi – come Donald Crowhurst - ha voluto sfidare il mare in un giro del mondo senza scali che lo ha portato alla morte, delle pescatrici di perle giapponesi e dei pescatori tunisini che 2015 non potevano più pescare i tonni tanti erano i corpi che trovavano nelle reti…
Ci sono poi le ferite personali, un cugino morto in una tonnara e altro ancora, in un andirivieni, simile al movimento delle onde, di vicende storiche e fatti privati.
Il mare, a ben guardare, è un palcoscenico dove agiscono svariati protagonisti, tutti con un’idea diversa a seconda di ciò che rappresenta per loro questa sconfinata “azzurrità”. La rappresentazione del mare di attivisti e migranti, per esempio, è diversa da quella dei pescatori, o di chi pratica traffici illeciti o ancora diversa da chi concepisce il mare in termini di custodia ambientale come la Guardia costiera. Il mare è anche teatro di azioni politiche, come il sequestro da parte della Libia dei diciotto pescatori mazaresi che dovettero aspettare 108 giorni per essere liberati. La Santangelo, dall’incontro con alcuni dei famigliari dei pescatori ci fa capire cos’è il Mediterraneo lavorato, il rischio, la fatica, la lontananza di mesi e poi quella vicenda traumatica, dopo la quale per qualcuno fu impossibile tornare in mare.
Il mare è anche, ancora e purtroppo, la grande pattumiera della parte terrestre della terra che riempie il ventre di pesce sventurati di plastica e rifiuti. Il mare è tempeste sempre più indomabili e acque sempre più calde, è bellezza che si tramuta in orrore quando rigetta corpi o offre la morte a chi lo attraversa in cerca di una vita migliore. Ognuno ha del mare un sentimento e un’esperienza diversa. Il mare da nuotare e attraversare, il mare dei colori e degli odori, il mare da solcare in barca o su una tavola, il mare da assaporare, da ascoltare, da guardare, “il mare e basta”.
Ora, avete mai accarezzato la superficie del mare? Molte volte prima di tuffarmi l’ho fatto, proprio come si accarezza una persona cara che sta per aprirci il suo cuore, come prendiamo in mano un cibo delizioso che stiamo per gustare. L’attimo prima di, che gioia è?
L’invito finale, l’esortazione sentita dell’autrice, è di accarezzare questo sistema fragile che è il mare e accarezzadolo prenderci cura, nei modi a noi possibili, “dei ghiacciai che si stanno sciogliendo, gli oceani che si stanno surriscaldando, le terre che stanno scomparendo, l’umanità che lo affronta ogni giorno con il rischio di naufragarci”.
La prossima volta che scendete a mare fategli una carezza. Sarà un po’ come farla a voi stessi.
Maria Claudia
N.B. Il 5 marzo 2023, dopo negoziati estenuanti, è stato approvato il Trattato per l’Alto mare: il 30% degli oceani dovrà essere protetto entro il 2030, una decisione storica per la tutela della biodiversità e degli ecosistemi.
Intervallo
[Eolie, settembre 2021]
In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene
Il dibattito etico sulla pesca
Finora abbiamo parlato di pesca da diversi punti di vista, legati soprattutto al concetto di sostenibilità. Abbiamo visto che se viene praticata senza badare al futuro e alla salute degli ecosistemi marini può risultare molto pericolosa per le specie ittiche che siamo soliti catturare con più frequenza. Abbiamo anche sottolineato l’importanza che ricopre per le culture umane e per la sopravvivenza di un numero incalcolabile ma elevatissimo di esseri umani. Non ci siamo però soffermati sul fatto che la pesca possa essere considerata anche qualcosa di diverso, ossia un’azione in cui l’uomo uccide un animale. Un’azione che alcune persone potrebbero ritenere sbagliata in sé, a prescindere dalla finalità per cui viene attuata.
Non è un argomento facile da trattare in poche righe. Uccidere gli animali per fini alimentari accende gli animi e tocca emozioni molto profonde, finendo per generare vere e proprie tifoserie che cercano di dimostrare al resto del mondo che la verità sta dalla loro parte. E non tutti sulla Terra abbiamo le stesse abitudini o tradizioni e la medesima sensibilità nei confronti di questo o quell’altro animale, come dimostra per esempio il festival della carne di cane a Yulin, in Cina, da anni al centro dell’attenzione mediatica per lo shock che crea nel resto del mondo. Resta il fatto che negli ultimi decenni la sensibilità verso gli animali, la lotta per i loro diritti e la diffusione di pratiche alimentari come la dieta vegetariana e vegana, almeno in Occidente, non hanno mai attirato così tanto l’attenzione e coinvolto un così alto numero di persone.
Nella battaglia degli animalisti per contrastare lo sfruttamento degli animali, i pesci non sono di sicuro i protagonisti. Il motivo è che uccidere una mucca o un maiale colpisce maggiormente l’attenzione delle persone rispetto alla cattura di un banco di aringhe. Un grande allevamento di salmoni sembra un’attività più naturale rispetto a un allevamento di polli, sebbene la quantità di animali ammassati e i metodi con cui vengono cresciuti non siano così diversi. Se poi parliamo dei frutti di mare (cozze, vongole, cannolicchi…) e crostacei (gamberetti, granchi, aragoste…) il discorso si fa difficile, dato che queste creature, in particolare i molluschi, a stento vengono considerati animali, nonostante lo siano a tutti gli effetti.
Per tutti questi motivi, al centro delle campagne di sensibilizzazione portate avanti dalle organizzazioni animaliste e ambientaliste non ci sono mai cozze e crostacei, bensì delfini, balene, foche, pinguini e tartarughe marine. A noi esseri umani piacciono gli animali che siamo in grado di riconoscere, che suscitano in noi empatia innata o che riconosciamo al primo colpo come protagonisti del loro habitat. Amiamo i delfini perché li sappiamo intelligenti, le balene per la loro maestosità e gentilezza, le foche e i pinguini per il loro aspetto buffo, le tartarughe marine per la loro tenerezza. Gli squali (e gli orsi polari) sono entrati in questa cerchia ristretta soltanto di recente, da quando il mondo ha iniziato a conoscere la caccia intensiva cui sono sottoposti e di cui abbiamo ampiamente parlato all’inizio del capitolo. In gergo tecnico queste specie vengono definite “specie bandiera”, per via della loro capacità di attirare l’attenzione e suscitare le emozioni del pubblico sul problema ecologico. Sarete d’accordo nel ritenere che un delfino è un simbolo più efficace rispetto a un branzino, così come una tartaruga marina appena nata che, fra mille difficoltà e pericoli, tenta di raggiungere il mare aperto è una scena più iconica di una rete a strascico tirata a bordo da un peschereccio. Ecco quindi la prima campagna di Greenpeace contro la caccia alle balene nel 1975 e l’accanimento contro certe pratiche ritenute parte della tradizione ittica di alcuni Paesi, fra cui la sanguinosa caccia ai cetacei che si svolge ogni anno sulle spiagge delle Isole Fær Øer, chiamata grindadráp, e la cattura di delfini nella baia di Taiji, in Giappone, resa celebre dal documentario The Cove.
Nonostante molti studi abbiano dimostrato che anche le specie meno appariscenti e all’apparenza più “semplici” siano altrettanto capaci di provare sofferenza e, spesso, ricoprano ruoli ecologici importanti nei rispettivi ecosistemi, la lotta per difendere il mare e i suoi abitanti sembra per ora badare meno a sogliole, naselli, aragoste e cozze. Se poi teniamo presente che da quando siamo piccoli ci insegnano che il “pesce fa bene” (cosa che a livello nutrizionale è effettivamente vera), il destino di molti abitanti del mare sarà la tavola degli esseri umani.
Tuttavia credo che riflettere su quanto sia eticamente accettabile consumare animali, e pesce in particolare, sia molto utile, perché ci aiuta a capire il rapporto che ci lega agli altri esseri viventi. Fare una panoramica su che cosa ha significato per la nostra specie questo rapporto vorrebbe dire ripercorrere l’intera evoluzione di Homo sapiens, dato che gli animali sono da sempre il nostro principale interlocutore. Esiste però un metodo che ci consente di mettere ordine nei pensieri e di capire come ci relazioniamo con gli altri animali e quali sensazioni sono in grado di suscitare in noi. Prima di avventurarci a nord del Circolo Polare Artico, facciamo quindi un breve viaggio nella Valle perturbante.
La Valle perturbante
L’ipotesi della Valle perturbante (in inglese Uncanny Valley) è stata proposta nel 1970 da un esperto di robotica giapponese, Masahiro Mori. La ricerca, sviluppata fra la teoria e la tecnica ingegneristica, analizza come la sensazione di familiarità e di piacevolezza generata da automi antropomorfi aumenti al crescere della loro somiglianza con la figura umana. Cerchiamo di visualizzare il concetto per renderlo più chiaro.
Immaginate di essere seduti sulla cima di una collina. Davanti a voi c’è un’altra collina e fra le due cime c’è una valle. Secondo l’idea proposta da Mori, sull’altra collina ci sono tutti quei robot che hanno sembianze umane. Dietro di loro, ancora più lontani, ci sono i robot industriali, che per noi sono poco più che macchine, non diverse da un frigorifero o un tostapane. Nella valle che vi separa dalla collina dei robot che sembrano umani prendono invece posto tutte quelle entità che sono molto più simili a un essere umano rispetto a un robot ma che allo stesso tempo sono capaci di provocare in noi sentimenti contrastanti: cadaveri, zombie e protesi di mano (io aggiungerei anche i burattini dei ventriloqui). Questi sono gli abitanti della Valle perturbante: non sono proprio umani, ma sono molto vicini a noi, al punto da metterci in crisi, spaventarci, suscitare ribrezzo o paura. Infatti quando abbiamo di fronte qualcosa di perturbante sentiamo che ci è familiare e al tempo stesso estraneo e può causare, come ci suggerisce la psicanalisi, angoscia e terrore.
Visualizziamo il concetto anche con gli animali. Ecco quindi che nel bel mezzo della Valle perturbante ci sono le specie a noi più prossime, come le grandi scimmie antropomorfe: i gorilla, gli oranghi, gli scimpanzé e i bonobo. Se vi è capitato di osservare uno di questi animali, certo ricorderete le sensazioni che l’incontro vi ha lasciato. Sono creature davvero simili a noi, eppure non si tratta di umani. Sull’altra collina ci sono i mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci, tutti gli invertebrati e anche i batteri. Delfini e balene, come abbiamo detto prima parlando delle “specie bandiera”, sono ben più vicino a noi rispetto a sgombri, tonni, gamberetti e cozze. Questi ultimi sono poco perturbanti, perché davvero diversi da un essere umano. Ma la posizione e il grado di perturbamento che una specie genera può variare in base alle nostre esperienze. Prima di vedere un documentario come The Octopus Teacher probabilmente avreste posizionato i polpi piuttosto lontani da voi. Invece, a sorpresa, vedere un polpo che si comporta come un cane affettuoso e giocoso è senza dubbio una scena capace di aumentare il vostro livello di empatia. L’animale all’improvviso vi appare strano, sicuramente diverso da Homo sapiens, ma in qualche modo familiare.
Capirete da soli che più gli animali sono vicini a noi nello schema, più sono capaci di mettere in crisi le categorie e i confini nei quali suddividiamo il mondo che ci circonda. Dallo schema della Valle emerge quindi in modo chiaro il concetto di specismo, vale a dire l’idea che alcune specie, in primis la nostra, siano superiori alle altre. Lo specismo è figlio del razzismo: potete ben immaginare che un razzista non avrebbe alcun problema a mettere nella Valle perturbante tutti quegli esseri umani che considera diversi da lui sulla base di alcune caratteristiche che ritiene utili per classificare le persone (il colore della pelle, ad esempio).
Il filosofo americano Timothy Morton sostiene che l’unica soluzione allo schema della Valle perturbante (che è di per sé specista e anche razzista) è trasformarla nella Pianura spettrale. Dopo aver eliminato le colline, noi stessi ci troveremmo fra tutte le altre creature che popolano la Terra, in un luogo dove proveremmo un grande spaesamento poiché lì sarebbe difficile utilizzare le categorie e i confini per capirci qualcosa. Secondo Morton, solo apprezzando l’ambiguità che si respira nella Valle diventata Pianura – con i polpi attorno a noi, le lumache di mare a strisciare sui nostri piedi e gli squali ad accarezzarci le braccia con le loro pinne (solo io ho avuto un brivido di paura?) – potremmo essere davvero ecologici.
da In alto mare. Paperelle, ecologia, Antropocene di Danilo Zagaria, add editore
Sassolini
Piccoli consigli di lettura, sassolini che indicano un percorso, una deviazione, una meta nuova e inaspettata, delle onde nello stagno.
Con il Fondo Moravia e Bompiani in quest’ultimo anno abbiamo consegnato a quattro scuole elementari di Roma cinquecento copie dell’unico libro scritto da Alberto Moravia per l’infanzia. Le bambine e i bambini, guidati dai propri insegnanti, hanno letto e disegnato “Storie della preistoria”: pinguini spatriati, foreste chiassose, mari esotici e pesci ballerini.
C'era una volta... – Un re! No, non è andata così. C’era una volta un mondo a parte che arriva da un passato remotissimo: terre mai abitate dall’uomo, popolate da animali preistorici che scorrazzano, storie ferme lì da migliaia di anni in un’atmosfera onirica di felicità e disordine. Favole originali e buffe, in cui ciò che è strano resta, via via raccolte in un’opera diversa dalle altre di Alberto Moravia. Pubblicato da Bompiani nel 1982, “Storie della preistoria” è una raccolta di oltre 20 racconti brevi per ragazzi nei quali l’autore pare non tener conto della tradizione. «Qui c’è una specie di alba della creazione», osserva Antonio Faeti nella prefazione. Cocco Drillo, Ba Lena, Pin Guinone, Gi Raffa, Cama Leonte, Rino Ceronte, Dino Sauro e gli altri personaggi straordinari che li accompagnano somigliano a incontri del terzo tipo, sotto gli occhi di madre Na Tura: non si comportano mai come noi vorremmo ma diventano modelli per dare conto delle cose del mondo, occasione di riflessione sul conforme e l’irregolare.
Prima di salutarci qualche indicazione per chi volesse impegnarsi attivamente nella protezione del mare. Esistono diverse organizzazioni e iniziative che si adoperano per una gestione consapevole delle spiagge, del mare e del suo ecosistema, eccone alcune: il Beach clean up di Marevivo, la campagna Spiagge e fondali puliti di Legambiente e il LifeGate PlasticLess dedicato alla diminuzione dell’inquinamento delle acque marine e lacustri. Nel settore della pesca, per un consumo sostenibile si possono adottare alcuni accorgimenti come suggerisce, tra gli altri, il WWF .
Il prossimo numero di Braccia Rubate sarà con la luna nuova del 18 giugno, con il diario dell’orto di Barbara, gli esercizi di fantastica, le cartoline e gli ospiti. Se è il primo numero che ti arriva, puoi curiosare fra i precedenti qui e se vuoi scriverci il tuo sentimento del mare o una storia di pesci, e altri fatti marini, ti leggeremo volentieri: bracciarubatenewsletter@gmail.com.
Maria Claudia
Sono pieno di vita come questo mare che contemplo, intensamente. Sento che mi guarda, anch’esso, e che siamo comunque amici.
Bernard Moitessier