La luna è nuova dalle 10 di stamattina
Arriva oggi la luna nuova di marzo e con lei arriva il tempo della semina: hai già scelto cosa coltivare?
In questo numero, Riccardo Bocci della Rete Semi Rurali spiega perché le leggi sulle sementi devono tener conto dell’immaginario, della memoria collettiva e delle tradizioni legate alle varietà coltivate e di come l’agrobiodiversità sia fondamentale per la tenuta dei sistemi agricoli e per una transizione ecologica del settore.
Ci sono poi le cartoline di Fabio Ciconte dalle Svalbard, dove è andato per seguire la consegna di un’importante partita di semi provenienti dalla Banca del Germoplasma di Bari, che verranno custoditi nel Global Seed Vault.
E a proposito di semi: sabato 23 marzo alle 15 sarò alla biblioteca del Padiglione Baggio di Milano, con fabbrica utopie: con Thomas Schmid parliamo di questo libro e poi ci sarà uno scambio di semi. Se ti va, porti i tuoi (ma non è necessario) e ne prendi altri.
Diario dell’orto
Sta per finire il periodo di riposo dell’orto, il tempo che si asciughi un po’ la terra dopo le ultime piogge e poi si riparte. Mi dà il senso di un nuovo inzio: succede a ogni primavera ma questa di più. La scorsa estate avevo coltivato poche cose e quest’inverno nulla, è stato un periodo di riposo per il terreno ma anche per me, avevo bisogno di riordinare le idee e credere poter ricominciare daccapo: niente di esistenziale, mi riferisco proprio all’orto, che lo scorso anno ho seguito poco e male, e per il quale vorrei progettare l’ennesimo “nuovo inizio” in modo da scrollarmi di dosso un senso di responsabile disfatta.
Ciò che mi porto dietro dal passato sono i semi: quelli che sono riuscita a riprodurre dalle scorse coltivazioni, la vera ambizione di quest’orticello. Insieme a questi ne prenderò di nuovi, bisognerà pure mettere su in fretta il semenzaio, decidere con cosa partire e cosa lasciare indietro.
Di solito i semi sono associati a un’idea di futuro eppure hanno a che fare molto di più col passato, con le storie che li hanno portati a esistere e (forse) a germogliare, con il patrimonio genetico che c’è scritto al loro interno. Una sorta di album di foto di famiglia che viene da un’era preumana, da un passato talmente lontano da appartenere a un tempo immobile, un tempo che precede l’idea del tempo.
Nascere è solo una delle possibilità di un seme, il futuro è l’esito meno probabile. Molto più spesso il loro destino è diverso: vengono mangiati (il che qualche volta permette loro di nascere con un trattamento deluxe, accoccolati in una palla di cacca, e anche questo è vero), viaggiano per chilometri senza incrociare mai le condizioni adatte per mettere radici, rimangono addormentati per secoli senza che arrivi mai il momento giusto per il risveglio, si disperdono negli infiniti accidenti della vita. Alcuni semi, invece, vengono trafficati dagli umani, che li scambiano, li conservano, li seminano e poi li raccolgono nuovamente.
Quello che i contadini hanno sempre fatto è stato selezionare le piante migliori da cui ricavare i semi per l’anno successivo, affidandosi alla pianta stessa e alla sua capacità di adattarsi a terreno e microclima specifici, per ottenere anno dopo anno semi sempre più resistenti e adatti alla zona di coltivazione. È così che sono stati ottenuti i semi conservati alle Svalbard, in millenni di agricoltura. È così che sono arrivati a noi i semi resistenti alla siccità conservati in Libano.
Pensare di sostituire questa diversità biologica, storica e culturale con poche varietà modificate geneticamente è uno dei soliti miraggi della presunzione tutta umana di saperne più di ogni altra creatura vivente, di saperne di semi più delle piante stesse; un presunzione contemporanea di credersi più intelligenti del passato; una presunzione tutta occidentale di pensare la propria scienza e il progresso come gli unici possibili; una presuzione tutta capitalistica dell’etichettare ogni alternativa come irrazionale e ingenua e, insieme, la tracotanza del rivendicare il possesso su un’altra forma di vita, mettendoci sopra un brevetto.
E invece è nella diversità che c’è la resistenza di un’ecosistema, ed è nell’accettare di non poter avere il controllo su tutto che sta la possibilità di attraversare anni in cui sarà proprio l’imprevedibilità a segnare il passo.
Ma tornando ai semi per l’orto, nella foto, in alto a sinistra ci sono quelli di basilico: quell’angolo è troppo scuro per indovinare, ma se riesci a individuare a quale ortaggio appartengono gli altri (senza esagerare, non serve la varietà specifica, basta indovinare di che pianta si tratta; occhio: c’è anche un fiore) scrivilo per mail o sui social, e apriamo ufficialmente il momento telemike di Braccia Rubate, ossia la vera ambizione di questa newsletter (era arrivato il momento di dirlo).
Coltiviamo la diversità
di Riccardo Bocci per Rete Semi Rurali
Nel 2019 la Commissione Europea ha ripreso in mano un dossier abbandonato da qualche anno, causa cocente bocciatura nel 2014 da parte del Parlamento: la legislazione sementiera. Si tratta di un tema cruciale per il settore agricolo: le sementi disegnano i sistemi agricoli in cui saranno coltivate e la loro qualità è essenziale per garantire una buona produzione agli agricoltori.
Allo stesso tempo, però, le sementi hanno un immaginario sociale che le fa uscire dall’essere solo un mezzo di produzione in agricoltura. Infatti, i nomi delle varietà, le loro caratteristiche sono legate alla nostra storia, un tempo definivano i nostri orizzonti simbolici, gusti e sapori sono legati alla nostra tradizione e alla cucina. Ma c’è di più. Chi controlla i semi, controlla il sistema alimentare e quello che mettiamo nei nostri piatti. Ecco perché parlare di sementi non è facile e tocca delle corde emotive che non sono considerate dai tecnicismi con cui di solito si tratta la materia agricola. Senza capire tutti questi fili che legano le sementi alla società non si possono realizzare delle serie politiche sementiere, in grado di rispondere a tutte le aspettative dei molti e variegati attori coinvolti. Oppure si corre il rischio di non capire quanto ancora sia importante il legame con la tradizione e il mondo dei nomi delle varietà locali e la loro capacità evocativa. Importanza anche economica per l’agricoltura industriale. Non è un caso che qualche mese sia stata iscritta una nuova varietà di mais ibrido al catalogo varietale usando il nome Pignoletto Peila, cioè usando il nome di una varietà tradizionale, Pignoletto, perché ha ancora un richiamo sui clienti sia della semente che della farina. Ovviamente, creando confusione nei consumatori e facendo concorrenza sleale a quegli agricoltori che in questi anni, con fatica e passione, hanno continuato a coltivare il vero Pignoletto.
A luglio scorso la Commissione europea ha presentato la proposta di nuovo regolamento sulle sementi, che in queste settimane è in discussione al Parlamento europeo per essere votata in plenaria a fine aprile, come ultimo atto prima delle elezioni parlamentari europee di giugno.
Purtroppo, quanto si sta discutendo a Bruxelles non ha trovato spazio sulla stampa né è stato oggetto di discussione pubblica, come se decidere le regole per mettere in commercio le varietà non interessasse l’agricoltura italiana. In realtà, il nuovo regolamento potrebbe essere l’occasione per portare gli interessi dell’agricoltura mediterranea ad avere un peso politico maggiore a Bruxelles, e non lasciare decidere le regole ai soliti paesi del Nord Europa espressione di un modello agricolo uniforme e industriale.
Speriamo che questa volta ci sia la forza e la volontà di portare a termine il negoziato, a differenza di quanto successo nel 2014. Infatti, il fallimento significherebbe mantenere il complesso sistema che definisce oggi la messa in commercio delle sementi, fatto di ben 12 direttive per le varie specie agrarie, 3 direttive sulle varietà da conservazione e il regolamento del biologico (per Materiale Eterogeneo Biologico e varietà biologiche). Un insieme di norme pensato negli anni ’60 del secolo scorso, in cui la produttività era il mantra dell’agricoltura e la parola biodiversità ancora non era stata coniata. Oggi le strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 prevedono un ruolo diverso per l’agricoltura, e il settore sementiero non può restare immune da questi cambiamenti. Inoltre, la legislazione non può non tener conto delle esperienze che si stanno realizzando. Negli ultimi dieci anni, infatti, in tutta Europa si stanno moltiplicando le Case delle sementi, i progetti di miglioramento genetico partecipativo e la gestione dinamica della diversità da parte degli agricoltori, con l’obiettivo di diversificare i sistemi agricoli e alimentari. Queste pratiche, ritenute ancora parte dei cosiddetti sistemi informali, devono invece trovare una loro definizione nel quadro legale. Si tratta di un lavoro non facile: bisogna capire cosa non includere sotto l’ombrello della normativa (perché non rilevante ai fini della commercializzazione) e cosa, invece, ha senso includere, costruendo un sistema di regole leggero e semplice finalizzato a garantire la qualità delle sementi. Infatti, non dobbiamo mai dimenticare che tutto l’impianto normativo nasce per tutelare gli agricoltori e favorire il fatto che facciano scelte consapevoli quando acquistano le sementi. Se negli anni ‘60 era facile perché si aveva a che fare con un solo tipo di agricoltore, mero cliente delle ditte sementiere, oggi il panorama è profondamente cambiato. Ci sono gli agricoltori biologici, i biodinamici, quelli che coltivano e trasformano varietà locali, quelli che sviluppano nuove varietà, quelli che coltivano varietà da conservazione. Per far fronte a questa pluralità di esperienze, il nuovo regolamento ha previsto una serie di deroghe per varietà da conservazione, materiale eterogeneo, varietà amatoriali, materiali commercializzati da reti e organizzazioni che si occupano di conservazione della biodiversità, e sementi scambiate tra agricoltori. Si tratta di un nutrito numero di eccezioni alla norma (basata ancora sui pilastri di registrazione e certificazione), che va visto non come un tentativo di minare l’impianto base della normativa, ma di traghettarla nel futuro.
Come Rete Semi Rurali abbiamo alcuni punti essenziali da difendere: riconoscere e promuovere i sistemi sementieri locali (anche definiti informali), garantire la trasparenza sui metodi di miglioramento delle varietà, porre chiaramente le attività di scambio delle sementi ai fini della conservazione fuori dall’ambito della commercializzazione, promuovere una visione flessibile e pluralistica della legislazione in grado di sostenere la diversificazione dei sistemi agricoli, non aggravare di burocrazia e controlli le ditte sementiere che lavorano a livello locale o regionale e sono sotto una certa soglia economica, e, non ultimo, definire delle regole chiare per evitare che le nuove denominazioni varietali usino i nomi di quelle tradizionali con un’operazione di biopirateria culturale.
Come cittadini dovremmo essere informati di queste discussioni e poter partecipare alla definizione delle nuove regole.
Per far sentire la tua voce puoi aderire alla campagna europea sul regolamento sementi:
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Riccardo Bocci è il direttore tecnico di Rete Semi Rurali, associazione che mette insieme 34 organizzazioni diverse allo scopo di promuovere una gestione collettiva dell’agro biodiversità, strategica per realizzare la transizione ecologica del nostro modello economico e produttivo. La Rete lavora per realizzare una diversificazione dei nostri sistemi agricoli, partendo dalle sementi per arrivare alle diete, passando per la trasformazione e la distribuzione.
Cartoline:
Global Seed Vault, Longyearbyen, Svalbard (Norvegia)
di Fabio Ciconte, associazione Terra!
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Il Global Seed Vault è il deposito dei semi più grande del mondo, si trova a Spitsbergen, una delle isole Svablard, a poco più di un migliaio di chilometri dal Polo Nord. È sepolto a 130 metri di profondità nel permafrost, in un bunker che può resistere perfino a un attacco nucleare ma che negli ultimi anni è messo in pericolo dall’aumento delle temperature nell’Artico.
Dal primo archivio di semi delle piante autoctone, alla banca norvegese sono stati inviati – dopo lo spostamento nell’attuale sede-bunker – i patrimoni provenienti dalle diverse banche dislocate nel mondo. Al suo interno è conservata la storia di millenni di agricoltura, raccontata nel patrimonio genetico di varietà selezionate attraverso un rapporto di collaborazione fra specie vegetali e lavoro, sapienza e abilità umane. È una storia preziosa e insostituibile, che ci torna particolarmente utile con la crisi climatica: per recuperare varietà resistenti alla siccità, o a condizioni climatiche estreme, per esempio.
In questi giorni sono arrivati anche semi provenienti dalla Banca del Germoplasma di Bari: Fabio Ciconte era lì per documentarne la consegna. Queste sono le cartoline che ci ha spedito, mentre sul sito di Terra! ci sarà il racconto di questo viaggio.
L’ingresso del deposito.
Fabio Ciconte e Asmund Asdal, coordinatore del Seed Vault, con i semi provenienti dalla banca di Bari.
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Fabio Ciconte è uno scrittore ed esperto di agricoltura e filiere alimentari. Il suo ultimo libro è L'ipocrisia dell'abbondanza. Perché non compreremo più cibo a basso costo (Laterza 2023).
È fondatore e direttore di Terra!, associazione ambientalista impegnata dal 2008 a livello locale, nazionale e internazionale in progetti e campagne sui temi dell'ambiente e dell'agricoltura ecologica.
Anche per stavolta è tutto: grazie.
Braccia Rubate torna con Sentieri, l’edizione del plenilunio a cura di Maria Claudia, il 25 marzo.
Se ti va, scrivi a bracciarubatenewsletter@gmail.com: raccontaci cosa seminerai, dove hai preso i semi, se ne hai regalati alcuni, scambiati altri, quanti ne hai persi e quanti ne hai trovati negli anni.
Buona semina,
Barbara