La luna nuova è arrivata alle 20.33
Luna nuova di luglio, e ultimo numero prima della pausa estiva. Torneremo a settembre con un numero speciale sulla lentezza che realizzeremo insieme Maria Claudia e io, o almeno questa è l’intenzione. Vedremo.
Per ora, partiamo con il diario dell’orto e di un viaggio breve, con un esercizio di fantastica preso a prestito da Casa Langer e con le cartoline che arrivano da Duipuvrun per raccontare Sovescio, una residenza artistica legata ai temi dell’abitare il suolo.
Diario dell’orto (e di un viaggio breve)
Lunedì scorso mi sono alzata presto, sono andata all’orto che ancora il sole non era crudele, ho tolto erbacce, legato alcune piante di pomodori che erano cresciute, fatto progetti di nuove semine (fagiolini: volevo farlo alla scorsa luna nuova ma non ce l’ho fatta), scoperto che le piante di melanzane, soprattutto le bianche, sono cariche di frutti, che i datterini gialli ormai sono partiti e si può raccogliere ogni giorno, che i peperoni trapiantati a fine giugno faticano, le zucchine pure ma un po’ meno: bisogna raccoglierle piccole, ché altrimenti ingialliscono.
Soprattutto, mi ero detta, se ogni giorno riuscissi a dedicare mezz’ora prima dellle otto, alle sette, o magari alle sei, per prendermi cura dell’orto, un po’ alla volta avrei sistemato tutto. Ovviamente i buoni propositi sono durati tre giorni e poi invece di una resurrezione c’è stato il funerale definitivo delle mie speranze.
Fa troppo caldo e le sei del mattino sembrano l’unico momento in cui si sta davvero bene a letto.
Comunque domani i fagiolini li semino. E trapianto l’unica piantina di zucca ancora in salute. Sono due tentativi fuori tempo massimo, ma boh, ti pare che l’estate abbia intenzione di finire presto? A me no.
A inizio luglio sono stata a Camerino, il paese di mio padre, il paese da cui i suoi genitori sono andati via, con lui ancora ragazzino, per “venire in città”, per lasciare la vita di campagna, provare una strada che prometteva essere più facile.
Ci sono andata per una presentazione, con me c’era Francesca Matteoni (ha partecipato al numero 27, del luglio dello scorso anno) che ha organizzato questa cosa piena di meraviglia all’orto botanico dell’università. Era proprio all’orto botanico che lei aveva tenuto dei laboratori di poesia legati al territorio, per bambini e ragazzi, subito dopo il terremoto del 2016.


In quei posti, il rimanere o l’andarsene sono intrecciati alla terra, e al suo tremare, a volte così impetuoso da sembrare un invito alla partenza, un modo per scrollarsi di dosso la gente.
Quando vado a Camerino dormo nel posto dove è nato mio padre: è una frazioncina, Cignano. Una donna coraggiosa se n’è presa cura, si chiama Franca, prepara torte fantastiche, sa impugnare una vanga come io non saprò mai, maneggiare un piccone con abilità e raccontare di notti di luna piena, sui campi di grano e di orzo, con poche parole che sanno portarti lì anche se sei arrivata la notte sbagliata.
C’è una piccola chiesa, che ora è puntellata dentro e fuori, perché il terremoto l’ha danneggiata irreparabilmente. Verrà buttata giù non appena la curia si prenderà la briga di “chiudere la faccenda”. Non è possibile ristrutturarla, i danni sono troppo profondi. Era già successo nel 1799: il terremoto di allora la rase al suolo, tutto sommato una perdita trascurabile in un evento che provocò circa 70 morti solo a Camerino. Una piccola chiesa di campagna senza grandi opere di pregio. Venne ricostruita nei primi anni dell’800. Mio padre lì faceva il chierichetto: un bestemmiatore seriale da adulto, un ragazzino che combinava guai e tirava scherzi anche al parroco, con delle gambe troppo magre e degli occhi troppo grandi. Capace di momenti di ispirazione, di dolcezza, come quei posti belli e miti, e poi di improvvisi momenti di terremoto.
Oltre alla chiesa, verrà buttata giù anche una casetta in cui i miei nonni tenevano gli animali: se della chiesa a nessuno importa più, figuriamoci di questa casupola per maiali, galline e faraone (le mucche stavano nella stalla più grande, quella è stata ristrutturata, c’è un ristorante, dentro). Chi rimarrà in piedi è però la quercia che ci è cresciuta di fianco: una ghianda di quella quercia ora è qui a casa mia, ci è nato un rametto, con cinque foglie in tutto.
A Cignano c’è anche un piccolo cimitero: dentro ci sono seppellite praticamente tutte persone che in qualche modo mi sono parenti. Sono sempre meno quelli che sanno le loro storie: quando ero piccola per ognuno di quei nomi sulle lapidi c’era un aneddoto da ascoltare. La mia memoria li ha dimenticati quasi tutti, e non so nemmeno più a chi chiedere per recuperarli. Tengo stretti quei pochi che ricordo, come la ghianda che ho fatto germogliare qui dietro casa, in modo che siano inizio di altre storie, in altri luoghi.
Così vanno le cose. I miei nonni se ne sono andati, io ci torno di tanto in tanto, ma nel frattempo ho deciso di restare qui dove ho piantato degli ulivi, e poi ci sono quelli che sono rimasti. Molti di loro vivono ancora nelle “casette”, le unità abitative emergenziali che da emergenza stanno diventando normalità. Una normalità fatta di piccole chiese dimenticate che verranno buttate giù, di campagne abbandonate e di altre ancora vive, di comunità che resistono, di angoli di pace come quell’orto botanico col suo ginkgo gigante e solitario.
La cura del territorio inizia con la cura delle persone che in quel territorio devono vivere: le “comunità che resistono” non dovrebbero resistere, non dovrebbero compiere un atto di coraggio, dovrebbero avere le istituzioni dalla loro parte, perché dove resta una comunità non avanza l’abbandono, dove resta una comunità il territorio rimane in piedi, non crolla. Fare in modo che una comunità resti è un atto politico che ha bisogno di scelte politiche precise, scelte che privilegiano il benessere delle persone che restano, invece di puntare sulla velocità di chi il territorio lo attraversa solo di passaggio: i lavori per la realizzazione della strada pedemontana delle Marche vanno avanti, molti tratti sono già stati realizzati, una lunga cicatrice che attraversa la regione da sud-est a nord-ovest, che buca le montagne e divide le campagne. L’idea che c’è alla base è la stessa della TAV: non importa il benessere di chi vive in Val di Susa, importa la velocità di chi in quella valle ci deve passare, sempre più rapidamente. Intanto, a Camerino, i collegamenti fra la zona “delle casette” e quella dove ci sono i servizi sono ancora scarsi, rendendo difficile la possibilità che rinasca una vita sociale davvero solida. Nel centro storico è ancora quasi tutto chiuso, l’orto botanico è una delle poche realtà che, fin da subito, hanno ripreso le attività aperte al pubblico. È pensabile che queste zone vengano abbandonate del tutto? Cosa acccadrebbe, nelle aree urbane, se in quelle rurali non ci fosse più nessuno a curarsi della terra, dei fiumi, dei boschi?
La signora Franca rimane; come lei, in altre terre, è rimasto Stefano Scavino dell’azienda agricola Duipuvrun; come altri, hanno scelto di tornare Camilla, Giulia e Paolo di Casa Langer. Questo è: restare, tornare o scegliere un posto dove non avevamo mai messo piede e prendersene cura.
Esercizio di fantastica
Cosa faresti diversamente?


Casa Langer è un rifugio, un centro culturale, un’idea di mondo – in costruzione – ispirata dal lavoro e dalle idee di Alexander Langer. Si trova a Tarcento, in provincia di Udine.
Per l’esercizio di fantastica di questo numero rubo a loro una domanda – cosa faresti diversamente? – per invitare a pensare a qualcosa, di piccolo o grande, da cui far partire il cambiamento.
Per riflettere su quella che è un’utopia, ma concreta.
La conversione ecologica non potrà essere solo una questione "tecnica" o "politica" o "amministrativa". Non basterà sviluppare nuove tecnologie a basso spreco energetico o sistemi più efficaci di smaltimento dei rifiuti, né accontentarsi di filtri e depuratori più numerosi e meglio funzionanti o di autorità ambientali vigili e preparate. Senz'altro ci vorrà tutto questo, e presto. Ma come in una guerra non basta attrezzare ospedali da campo più efficaci per curare meglio le vittime, nell'odierna guerra che viene quotidianamente condotta contro l'umanità e contro la rimanente natura, occorre innanzi tutto mirare a soluzioni di pace. Per "conversione ecologica" dunque intendiamo lo sforzo complessivo - materiale e culturale, economico e tecnologico non meno che etico - in quella direzione e le "utopie concrete" possono sostanziare tante piccole paci da invogliare molti a volerla tentare anche in grande.
Queste sono le parole con cui Alexander Langer presentava la fiera delle utopie concrete a Città di Castello, nel 1988.
E allora la domanda è questa: quale può essere il tuo piccolo atto di pace?
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È attivo un crowdfunding per sostenere la realizzazione di Casa Langer, si può contribuire qui.
Cartoline: Sovescio
Da oggi fino al 28 luglio 2023 cinque giovani fotografe si incontreranno con esperti di diversi settori per approfondire tematiche legate all’ambiente, all’abitare, al suolo (da un punto di vista produttivo e abitativo) che verranno esplicitate nei progetti fotografici raccolti poi in una mostra collettiva.
La residenza è promossa da FARO ASTESANA, associazione nata nel 2020 grazie alla comunione di intenti di un gruppo di persone accomunate dall’amore per le tradizioni e la storia di un territorio, l’Astesana per l’appunto, che rischia di essere cancellato a causa di politiche che lo includono nella denominazione Monferrato, territorio storicamente e geograficamente molto distante.
Dalla pratica agricola prende in prestito il nome, SOVESCIO. Il sovescio consiste nella semina, sfalciatura e interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità di un terreno limitando lo sviluppo delle piante infestanti.
In termini di pura produttività, è una coltura a perdere in quanto non destinata alla raccolta.
Così come il sovescio, l’arte, al contrario delle cose “utili” che lavorano con una logica di fine più che di concetto, non ha mai un riscontro nell’immediato. L’intento della residenza è quello di emulare ciò che il sovescio fa con la terra: ragionare su concetti che trascendano il tempo presente e immediato creando un sincretismo tra la pratica artistica delle autici e le realtà del luogo.


Gli incontri sono gratuiti e aperti al pubblico e si terranno nell’azienda agricola DUIPUVRUN di Costigliole d’Asti di Stefano Scavino: il programma completo è qui.
Anche per stavolta è tutto: grazie.
Braccia Rubate torna a settembre.
Se è il primo numero che ti arriva, puoi curiosare fra i precedenti qui e da qualche numero anche qui.
Se ti va, scrivi a bracciarubatenewsletter@gmail.com: sarà bello trovare una tua mail, una sorpresa che renderà più sopportabile il caldo rovente (davvero).
Ciao.
Barbara