La luna è nuova dalle 6.15 di stamattina (dormivi?)
Con la luna nuova dell’aprile del 2021 è partito il numero zero di Braccia Rubate: conteneva le parole da cui è iniziata questa avventura stramba, fra cui semi, immobilità, alberi, disegni e quaderni.
La parola con cui l’orto comincia, invece, è una parola che ha il suono del germoglio che rompe la terra e sbuca fuori: giusto qualche giorno fa, dopo un tempo infinito (così mi è parso), si sono affacciati al cielo i fagiolini, nel campo, mentre qui in casa, da questo semenzaio disordinato fatto di barattoli e vasetti rimediati, stanno crescendo melanzane, pomodori e solo oggi – per non fare brutta figura ed essere gli unici a mancare all’appello – hanno fatto capolino i peperoni. Ancora un paio di settimane e verranno tutti trapiantati fuori, in un orto che per questa stagione avrà uno spazio dimezzato: l’altra metà è in fase di rivoluzione e cambiamento, in parte sarà dedicata a coltivazioni più lunghe – carciofi, fragole, i lamponi che fortunatamente si ostinano a rinascere –, alcune aromatiche come il timo e la salvia e quel che rimane del mio tentativo di creare una bordura di lavanda, il resto invece è ancora tutto da decidere. Anche questo è un inizio, la sua parola è incertezza ma anche indulgenza: andrà bene compiere l’ennesimo errore, ricominciare daccapo, provare a fare meglio oppure mollare tutto e dedicarmi alle ortiche, perché in fondo tocca ricordarsi, non solo a ridosso del 25 aprile, che la parola che permette tutte le altre è libertà: la parola che rompe il silenzio, e ricuce le distanze, un germoglio che mette il naso fuori, all’aria, in cerca di luce, e intanto allunga le radici nella terra.
Per questo numero, la parola da cui iniziare la lascio a chi sa cominciare le cose con un entusiasmo che spesso perdiamo strada facendo: sono i bambini della scuola dell’infanzia Sommovigo di Roma e dell’orto sospeso di Peppe Stamegna, e poi gli alunni della terza B della scuola primaria Lugli di Carpi, e della loro maestra Anna Lucia Cagnazzi. E infine a Ettore, che con i suoi disegni stupendi ha ispirato l’idea di un’edizione in cui si prendessero spazio i più piccoli.
Ma partiamo prima dal racconto di Matteo Cereda, fondatore di Orto da Coltivare, un sito web che è un punto di riferimento per chi, come me, si mette a coltivare un orto partendo dall’assoluta ignoranza di ogni nozione agricola. E la cosa che mi ha stupita è che la parola da cui è partito per raccontare la storia del suo avvicinarsi all’agricoltura è ignoranza: è da questo riconoscersi pronti a imparare che spesso si impara davvero, liberi da altri condizionamenti e pronti a riallacciare un legame che qualche generazione fa si è interrotto.
Una parola per iniziare: ignoranza
di Matteo Cereda
Risalendo il mio albero genealogico ci vogliono un paio di generazioni per trovare un bisnonno contadino.
Sicuramente tutti noi abbiamo antenati non troppo lontani che coltivavano il proprio cibo, ma nella società moderna questo legame con la terra ce lo perdiamo facilmente per strada. E così io sono arrivato a quasi 30 anni di vita senza aver mai fatto un orto.
Mi è sempre piaciuto il lavoro fisico (come a molte persone che non hanno mai dovuto farlo seriamente per guadagnarsi da vivere), ma per professione mi sono trovato chiuso in una stanza, seduto a una scrivania davanti a un monitor.
Ho cominciato a coltivare nel 2014: con alcuni amici abbiamo deciso, un po' per caso, di fare un orto condiviso. C'era la voglia di stare insieme lavorando all'aria aperta, anche per coinvolgere due ragazzi con dei leggeri deficit cognitivi. Ci siamo accorti che loro davano il meglio quando c'era qualcosa di concreto da fare, e sporcarsi un po' le mani faceva un gran bene a tutti noi.
Il nostro team era veramente scarso a livello di competenze agricole, per cui mi misi a studiare un po'.
Per lavoro mi occupavo di siti web e mi venne spontaneo condividere quello che imparavo tramite un blog, così nacque Orto Da Coltivare. Una decina di anni fa non si trovavano facilmente su internet informazioni affidabili in tema agricoltura, per cui il mio nuovo sito cominciò a ricevere visite, nonostante fosse scritto di fretta e fosse graficamente orribile.
Ci lavoravo di notte: di giorno avevo il mio lavoro, a cui seguiva poi l'orto condiviso nel tempo libero. Gli articoli che pubblicavo erano un mix di nozioni assorbite da libri e corsi, oltre alla poca esperienza che mi stavo facendo nel nostro orticello.
Il numero di lettori continuava a crescere, e mi resi conto che la cosa si stava facendo seria e questo comportava anche delle responsabilità. Quando un amico agricoltore mi disse che per decidere a che distanza piantare i finocchi aveva consultato il mio sito, cominciai a preoccuparmi. Era un campo intero di finocchi, piantato da una persona laureata alla facoltà di agraria seguendo le mie indicazioni.
Nel frattempo per fortuna Orto Da Coltivare riscuoteva interesse anche in qualche azienda di settore, così decisi di trovare un paio di sponsor e di investire queste entrate nei contenuti del sito, facendomi aiutare da persone competenti. La prima persona a cui scrissi fu Sara Petrucci, un'agronoma bravissima. Avevo letto il suo manuale di orto e quando accettò non mi sembrava vero.
L'orto condiviso intanto diventava una piccola azienda agricola specializzata nella coltivazione di zafferano, ma questa è un'altra storia.
Negli anni la squadra di Orto Da Coltivare è cresciuta, sempre coinvolgendo persone preparate e con un'esperienza concreta di campo alle spalle. La cosa di cui sono più orgoglioso è di essere il più ignorante tra gli autori del sito. In realtà questa ignoranza è stata anche un mio grande vantaggio: mi permette di revisionare gli articoli tenendo sempre presente l'occhio del lettore inesperto, senza salire in cattedra e senza dare nulla per scontato. Penso che il blog abbia avuto un buon successo soprattutto perché le informazioni che presenta sono semplici da comprendere e applicare.
E così il sito web è diventato man mano più grande, con sempre più visitatori. Una crescita importante è arrivata nel 2020, quando con il lockdown tante persone erano a casa senza molto da fare, in un periodo primaverile ideale per piantare pomodori. Quando il sito arrivò a 100.000 utenti giornalieri fu necessario cambiare server di corsa, perché quello che avevo non reggeva un traffico del genere e andava in crash tutto il sistema.
In parallelo, al blog si sono aggiunti i canali social, la community su Facebook, la newsletter, YouTube. Qui un ruolo fondamentale lo ha avuto Pietro Isolan, che ha portato la capacità di comunicazione tramite video, un modo che a me non appartiene ma che è davvero utile a livello didattico. Sono nate belle collaborazioni, in particolare quella con Bosco di Ogigia, altra realtà di divulgazione dell'agricoltura sostenibile. Abbiamo fatto tante cose, tra cui videocorsi e libri cartacei. Rizzoli mi ha chiesto di scrivere un manuale sull'orto in vaso, sfida che ho accettato con entusiasmo, perché può essere un modo per avvicinare alla coltivazione anche persone che vivono in città e non pensano di mettersi in gioco su un campo vero e proprio.
Insomma: la divulgazione in ambito agricolo è diventata a tutti gli effetti la mia professione, per cui ho il privilegio di fare un lavoro che mi piace. Anche se si svolge tuttora in gran parte davanti a un monitor. Intanto ho cercato di studiare l'orto un po' di più, ma resto ancora (orgogliosamente!) il più ignorante dello staff.
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Matteo Cereda è nato nel 1985. Coltiva zafferano in Brianza con il sogno di fare agricoltura sociale e dal 2014 si dedica alla divulgazione tramite web rispetto a temi di orticoltura ed ecologia. È il fondatore di Ortodacoltivare.it, il portale dedicato alle coltivazioni biologiche più visitato d’Italia. Il suo ultimo libro è Mettete orti sui vostri balconi.
Serre magiche e zolle d’incomprensione
di Peppe Stamegna
Tutto è cominciato l'anno scorso, quando si è pensato di piantare rosmarino e salvia agli angoli del giardino un po' come paracolpi per i bambini, in vista dei primi incontri genitori-figli. Poi mi sono fatto coraggio, ripensando all'adagio di mio zio contadino: andò vai vai, fa'nuort e tutt' so' cuntient. Così ho messo su, in pieno giugno, un laboratorio di Orto e abbiamo iniziato a piantare insieme ai bambini e ai loro genitori, melanzane, la salvia e il rosmarino, e pure una zucca tardiva: diventata maestosa lungo tutto il perimetro del giardino, e dell'estate duemilaventidue.
Poi in autunno, durante una riunione di equipe, fantastichiamo un orto per la primavera, e pensiamo, tra una consulenza e l'altra, magari dopo mesi di un papà con la figlia, che sarebbe bello realizzarlo con l'aiuto dei genitori, dei figli, dei nonni e degli zii. Invece, in un giorno freddo di gennaio, sono partiti all'improvviso i lavori condominiali che hanno svuotato di terra il nostro giardino a elle.
Dopo un paio di giorni di incazzatura mi è venuta un'idea: facciamo l'orto sospeso! Spostiamo la serra, tutti i vasi, l'impianto d'irrigazione dell'anno prima, e iniziamo a seminare tutto quello che c'è da seminare sul terrazzino attiguo al giardino. L'idea è di donare le piantine, una volta pronte per il trapianto, oltre che ai partecipanti del laboratorio, anche a chi si prende cura dei tanti orti urbani sparsi per la città. L'idea ha cominciato a concretizzarsi da circa un mese. È successo che sia nei giorni di laboratorio di Orto sospeso e sia negli incontri genitori-figli, alla fine, a tutti quelli che transitano da noi come mettono il naso sul terrazzino-vivaio, propongo: vuoi seminare qualcosa? A un minimo annuire tiro fuori i sacchetti a mo' di carte da gioco e dico: scegli i semini che vuoi.
La serra magica oramai è gonfia e rigogliosa con tutti i vasi pieni di piantine neonate. Quando tiro su il telo di nylon che la protegge dai freddi di questo aprile strambo, faccio infilare dentro le mani ai bimbi e aspetto il loro sguardo di sorpresa per quel tepore che accarezza.
Partono smorfie di incoraggiamento sulle facce che assaporano il gusto di fare crescere piantine e fiori, e anche in quelle dei loro genitori: si trasforma in quell'auspicio sempre sperato di smuovere le zolle di incomprensione tra di loro. Mi auguro ogni volta che, tra l'orto sospeso e le loro storie, possa crescere la pazienza e la meraviglia davanti a quelle vite ancora piene di possibilità.
Questo è il sogno.
Nella realtà oramai abbiamo bisogno di donare queste future piante di ortaggi, di piante aromatiche, agli orti che ne hanno bisogno, quindi, il nostro è anche un appello: chiedeteci piante e vi verranno date! Oppure, venite e regalate voi queste piantine a chi ne ha bisogno.
Nel frattempo sto avviando un orto anche nella scuola d'infanzia dove insegno. Siamo partiti con i tulipani e, ora che troneggiano in giardino, ci stiamo occupando della semina del basilico, delle zucchine, delle patate e dei girasoli: quest'ultimi andranno a prendere il posto dei tulipani in decadenza.
L'altro giorno ho portato l'intera classe nell'orto, dai seienni ai treenni, dai pigroni agli iperattivi, e una volta tutti intorno ai cassoni che il comune di Roma anni fa ha fatto montare in ogni scuola, abbiamo fatto una lezione all'aperto. È successo che in mezz'ora questi bambini figli della pandemia hanno ripristinato il cassone-orto: un lavoro impeccabile. Gran parte dei cassoni, uno per classe, sono abbandonati, nel nostro c'era rimasto un finocchio selvatico, solo in uno ci sono delle piante aromatiche messe da una coraggiosa maestra, e poi soltanto milioni di erbacce. Alla fine del lavoro-lezione, li ho fatti mettere in cerchio sotto all'albicocco per riposare, per fantasticare, tra i rami e i frutti verdi c'erano pure degli spicchi di cielo che passavano per i loro sguardi.
Proprio ieri una delle pigrone, dopo che ha messo a dimora una patata, con gli occhietti aguzzi mi fa: ora vorrei andare a sdraiarmi un po' sotto all'albero. Una volta in classe ha aggiornato il diario dell'orto con un disegno bellissimo.
Dalla settimana prossima l'orto della scuola accoglierà i ravanelli impazienti già pronti per essere trapiantati, e poi tutto il resto che stiamo seminando: i pomodori no, perché maturano quando noi non ci saremo!
Dice Mattia, rabbuiato.
L'altro giorno mentre stavo a testa in giù sulla terra a scavare insieme ai bimbi, mi sono chiesto: sto all'appartamento pedagogico o a scuola? Il filo, il lombrico che lega questi due progetti, corre lungo la Tiburtina fino alla Tuscolana, passando dalla mia schiena: in ogni posto che vai, fai un orto e tutti so' contenti. Questa frase di mio zio vale ancora, vale sempre, vale per tutti.









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Peppe Stamegna insegna alla scuola dell’infanzia Sommovigo a Colli Aniene, a Roma e fa parte del progetto pedagocico Genitori in crescita.
Il nostro orto è un posto bellissimo
di Anna Lucia Cagnazzi
Come scrive Amy, il nostro orto è un posto bellissimo.
Siamo fortunati perché abbiamo molta natura intorno a noi, pochi motori che rombano e nessun clacson che strombazza, pochi gas puzzolenti, tanto verde, un giardino spazioso e sempreverde.
In questo piccolo angolo di Terra, piano piano, si è fatto spazio il nostro orticello. Abbiamo iniziato con poco, la terra sembrava arida e secca nei primi tempi del 2020. Ci abbiamo lavorato tanto e ora la terra, l’acqua, certi gesti, le stagioni, gli stivaletti infangati, fanno parte della nostra quotidianità: non sapremmo più starne senza.
Un giorno della nostra prima elementare, io e la maestra Eliana abbiamo presentato ai bambini l’orto facendo in modo che prendessero confidenza con questo strano organismo, che toccassero la terra con le mani, che si sporcassero le ginocchia per avvicinarsi il più possibile alla terra.
Oggi tutta la scuola ha il suo pezzo di orticello.
I bambini di tutte le classi ogni giorno si prendono cura delle piantine osservando gli esseri che le circondano, le animano o le disturbano. In piccoli gruppi gli alunnini vanno in autonomia tra le loro piante e se ne prendono cura, usando con accortezza gli strumenti del mestiere e imparando a distinguere le piante che possono essere tolte per fare spazio a quelle che invece vanno aiutate a crescere.
Oggi il nostro orto ha un recinto, una casetta per gli attrezzi, una compostiera e delle panche per il lavoro all’aperto. È il nostro salottino carino.
Un giorno capriccioso, un po’ uggioso, un po’ no, siamo andati in giardino e abbiamo passato del tempo nell’orto con l’intento di scrivere delle poesie. Ognuno aveva trovato il proprio posto: chi era sulle panche, chi sui tavolini, chi per terra all’ombra, chi per terra al sole.
Gioele si era allontanato. Mi ero accorta che se ne stava beatamente solo a cercare proprio il silenzio, il canto degli uccellini, la compagnia delle margheritine bianche spontanee che in questo periodo riempiono tutti di allegria, soprattutto la maestra-neonato, come ha voluto annotare qualcuno. L’ho ammirato molto per quella possibilità, che gli veniva concessa e che mostrava fieramente, di liberarsi di tutto e di tutti, di starsene a comporre ispirato da quel ben di Dio.
Io, intanto, cercavo di rendermi utile nell’orto. Al momento di raccogliere le insalate, i cipollotti, qualche cavolo tardivo e gli ultimi finocchi per fare spazio alle nuove piantine di zucchine, pomodori, melanzane, fragoline, carote, nuovi finocchi, Alessandro perentorio precisa: “Maestra quando facciamo il nuovo raccolto io voglio tanti cipollotti! A me piacciono tantissimo i cipollotti!”. E poi ha avuto l’idea di strofinarli su un nastro adesivo di carta per conservarne l’odore che potesse accompagnare la sua poesia.
Samuel, invece, non riusciva proprio a trovare ispirazione. Era molto afflitto. “Maestra non so cosa sarò nella vita ma certamente non sarò un poeta”. Allora gli ho consigliato di mettersi a lavorare con me e qualche altro compagno nell’orto finché trionfante ha esclamato “Maestra! Ora ho una parola! So come cominciare!”. Da una parola trovata nell’orto, sono nate quattro poesie.
Ecco, l’orto forse ci insegna anche un po’ questo: la parola da cui iniziare.
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Haiku dell’orto
dagli alunni della terza B, scuola montessoriana Lugli di Carpi (Modena)















































Cartoline
La cartolina di questo numero l’ho chiesta: lo so non si fa, ma i disegni di Ettore sono speciali, e infatti eccone qui uno. Non è così?
Anche per stavolta è tutto.
Braccia Rubate torna alla luna piena del 5 maggio, con Sentieri a cura di Maria Claudia.
Se è il primo numero che ti arriva, puoi curiosare fra i precedenti qui e da qualche numero anche qui.
Per domande, saluti, peripezie e fiori, puoi scrivere a bracciarubatenewsletter@gmail.com: sarà bello trovare una tua mail (davvero).
Ciao.
Barbara