Da stasera, alle 23 circa, della luna rimarrà solo l’ultimo quarto
«C’è chi si prepara e l’aspetta e chi non l’ha mai conosciuta. C’è chi la teme, chi la studia, chi sorride davanti a quel suo sbriciolarsi dolce e silenzioso come il sonno di un bambino. Come cosa viva la neve ci parla, e parla al campo, alla strada, al bosco con una voce gelata e rigorosa. La neve celebra l’arrivo dell’inverno…»
L’incipit di Nevario. Le forme della neve, il bellissimo atlante illustrato di Sarah Zambello e Susy Zanella, realizzato in collaborazione con il Centro Valanghe di Arabba per Nomos edizioni, ci introduce al tema di questo numero di speciale di Braccia Rubate dedicato alla neve. L’anno scorso abbiamo condiviso i vostri sentieri e l’anno ancora prima i vostri alberi del cuore, oggi abbiamo chiesto che cos’è per voi la neve, il vostro pensiero o il vostro ricordo legato a questo fenomeno naturale così misterioso, affascinante e strettamente legato all’idea dell’inverno.
Maria Claudia
Questa foto è stata scattata in Val Quarazza al termine dell’inverno 2018, dopo una delle rare abbondanti nevicate degli ultimi anni. La Val Quarazza è una valle laterale della Valle Anzasca, ai piedi del versante piemontese del Monte Rosa, un territorio da sempre segnato da copiose piogge in primavera ed autunno, e ingenti nevicate in inverno. Questa foto ritrae il tempo dell’inverno in una montagna che ormai sta scomparendo a causa della crisi climatica e dell’innalzamento delle temperature. Un tempo segnato dall’inaccessibilità, quando gli itinerari in alta quota diventavano impraticabili a causa degli accumuli nevosi e dalle condizioni meteo avverse. In inverno la montagna si riprendeva la sua impenetrabilità, ponendo un limite preciso all’uomo e costringendolo a ritirarsi a quote più basse.
Al presente purtroppo non è più così. Sempre più frequentemente il colore delle Alpi in inverno è il marrone degli alberi spogli, e la neve, quando cade, è presente solo a quote molto elevate.
Oggi per me la neve è come un’asticella che si sta spostando sempre più in alto, rendendo la montagna fruibile a quasi tutte le altitudini per la maggior parte dell’anno. Lo dico con un po’ di rammarico, perché credo che oggi più che mai abbiamo bisogno di percepire una linea di confine tra ciò che ci è consentito e ciò che invece ci viene precluso. Non tutto deve necessariamente essere sempre alla nostra portata. Solo questo può consentirci di recuperare il rispetto, e anche del sano, reverenziale timore, per quel mondo naturale che oggi stiamo indiscriminatamente calpestando e che invece tanto ci è necessario per la nostra stessa sopravvivenza.
Chiara Dallavalle
Una storia d’amore. Joe, nato nell’assolata Calabria, perde la testa per la neve fresca!
Livia Del Pino
In una foto
sulla neve
(sfondo di pareti simili a pandori)
hai calzoni rastremati
di protosportiva
scarponi di pelle
fissi l’obiettivo
(certo tua figlia)
contenta dell’attimo
gli occhi sorridono
ancora coerenti
(poi scruteranno da uno scranno di disincanto)
minuscolo sciatore
famelico di contatto
premo la spalla
sulla tua coscia
una tutina di panno
quasi d’aviatore
cincischio le manopole
canto o grido il mio broncio
(labbrette protese)
pencolo il mio bisogno
la tempia sull’anca
del mio sostegno
per non concedermi
quello che anelo
il tuo braccio
fugge all’indietro
Giacomo Sartori, da Mater amena, Arcipelago Itaca, 2019
Sulle sponde assolate della Riviera la brezza sventaglia le palme e l’erba della pampa ondeggia come un’odalisca. Bianca è la spuma dell’onda, bianca una vela solitaria e bianco è lo zucchero a velo sui canestrelli mangiati a merenda. Sono bianche le trombe degli Angeli che ciondolano dai rami e bianca è la ginestrina fiorita anzitempo.
Sulle sponde assolate della Riviera la immagini, la neve.
A volte la fiuti nel soffio di ghiaccio della Tramontana, nei ricordi delle settimane bianche di quando eri bambina o in certi sogni che svaniscono presto nel tepore dell’indomani.
Un mazzolino di ellebori bianchi le somiglia.
Sulle sponde assolate della Riviera a volte sono fiori i fiocchi di neve.
È nel bianco in mezzo a tanti colori che la cerchi, la neve.
Bianco è il berretto ben calato sulle orecchie, bianche sono le cime della barca che molla gli ormeggi per navigare in una mattina di dicembre e regalarti l’improvvisa sorpresa di vette lontane spruzzate di neve, neve vera. Tu la guardi dal mare e vedi le sponde assolate della Riviera e quel miraggio bianco in mezzo al blu.
Bianca è la candela che s’accende a sera, bianco un filo di luci sulle case a festa.
Bianche sono le pagine di un taccuino che sta per essere iniziato.
Bianca una purezza nel cuore, come la preghiera offerta a Nostra Signora della Neve.
E più bianca della neve mi sembra la falce di luna che brilla in queste notti di vigilia.
Alessandra Turci
Questi sfocati fotogrammi sono tratti dal video che feci la prima volta che Pesca vide la neve. L’avevamo adottata dal canile l’anno precedente, una cucciola di 8 mesi scampata, grazie a un’associazione internazionale, al triste destino che spesso tocca in sorte ai randagi.
Quel giorno, sulle pendici del monte San Primo, nelle Prealpi Comasche, nevicava sin dalla prima mattina, e la neve continuava a scendere copiosa. La reazione di Pesca fu memorabile e commovente: si rotolava, correva all’impazzata, si tuffava, scavava grandi buche e cercava di afferrare i fiocchi al volo, puntando il muso sottile verso il cielo.
Se si può applicare la definizione di felicità perfetta e limpida a qualcosa, io quel giorno l’ho vista.
Giulia Carlini
Marco Petrella
I padri insegnano cose anche quando non sanno che lo stanno facendo. Mio padre le mattine che nevicava – e quando ero bambina, e poi ragazza, nevicava forte qui – mi preparava la calà. La calà non è una bevanda calda, ma è il passaggio per uscire di casa quando nevica, e ti permette di arrivare sulla strada principale. Capivo che nevicava dal letto, dal rumore della pala che sfregava sulla terra e faceva spazio. Sapevo che era lui e che c’era la neve.
L’altro pomeriggio stavo entrando in ospedale e ne usciva un papà con un piccolo nell’ovetto e gli diceva “andiamo a casa che sono arrivate le nuvole della neve!”. Era vero. C’era vento, e si capiva da quel cielo sarebbe arrivata la neve.
Ho imparato il rumore della neve da mio padre. Così come tante cose.
E quando nevica mi viene un po’ di speranza. In cosa non so. In un mondo più pulito, nelle piccole magie, nei gesti d’amore.
Tina Ballestroni
Quando la neve si scioglierà, dove andrà il bianco?*
Domani sarà il primo giorno d'inverno, il giorno che conta più ore di buio rispetto a quelle di luce. Festeggio il solstizio con molta cura perché annuncia una delle stagioni che più amo, insieme all'autunno. L'inverno riempie il mio cuore di corrispondenze e di desideri da esaudire, tutto mi somiglia, ogni cosa brilla, ci sono le lucine sugli alberi, le dediche, l'attesa, cucino per le persone che amo, stiamo al caldo, faccio i biscotti con molto burro, mi sveglio all'alba e accendo un piccolo fuoco, brucio le foglie di alloro come faceva la bisnonna Maria che era una bravissima erbana e porta lo stesso nome di mia figlia. Mi trovo spesso a dover giustificare il mio amore per l'inverno, nel comune parlare si usa indicare la pioggia come “brutto tempo”, la pioggia è una delle condizioni meteorologiche che più amo. Allo stesso modo si indicano i giorni più bui dell'anno come giorni trascorsi in attesa della luce, mentre quando si accorciano le giornate qualcosa di invisibile si espande in me e prende il coraggio di uscire, di occupare tutto lo spazio. Perfino il rito di Yule, il rito del solstizio che celebra l'inverno, prevede che si festeggino anche le ore di luce che dal 22 dicembre via via aumenteranno, mentre io penso a questa possibilità con un po' di dispiacere.
Oggi per scrivere della neve ho acceso la candela vicino a me e la candelina che si trova davanti alla foto della casa dei miei bisnonni in Carnia. Francesca Colussi, che ricama con il filo le vecchie foto e ne fa uscire meraviglie, ha cucito sulla foto dei miei bisnonni una pianta rampicante con dei piccoli fiori rosa e me l'ha regalata. La tengo sulla credenza e ogni giorno accendo una piccola candela lì davanti. Ho imparato da alcuni amici che praticano il culto degli antenati secondo la tradizione del loro paese, il Senegal, a rendere omaggio anche ai miei antenati e a fare delle offerte. Mi hanno insegnato a cucinare il piatto preferito di mia nonna nel giorno del suo compleanno o quando ho bisogno di lei e poi a lasciarlo sul tavolo la notte, in modo che possa venire a prenderlo. Lo stesso faccio con mio padre il 21 gennaio, e con gli antenati che immagino più vicini. Nelle società tradizionali africane gli antenati mandano le anime nuovamente nel mondo con la raccomandazione di impegnarsi a vivere una vita che sia il più possibile degna di essere vissuta. Qual è una vita degna di essere vissuta? Non certo, come si crede spesso qui, una vita orientata alla ricerca del successo, o concentrata sulla realizzazione lavorativa, sul tentativo di far accadere per noi qualcosa di straordinario, bensì una vita che si occupa del proprio benessere e, allo stesso modo, in uguale misura, del benessere delle persone vicine. Fare del bene a sé e alle persone vicine è quindi la massima espressione di una vita pienamente realizzata, una vita che rende i nostri antenati orgogliosi di noi.
Le origini dei miei antenati, da parte di mia nonna, sono nordiche. Nel mio sangue scorrono, fin dai tempi antichi, i giorni pieni di buio, il freddo meraviglioso, i fuochi, i riti nei boschi e la grande Neve.
Quando le previsioni dicono che forse nevicherà mi affaccio di continuo alla finestra, rimango sveglia fino a tardi la notte per aspettare i piccoli fiocchi o metto la sveglia per non perdermeli. Nel mio prossimo romanzo scrivo molto della neve, di lei e delle sue visite. Non sono riuscita a cominciare a scrivere fino a quando non ho immaginato che nevicasse sempre. Avevo bisogno di sentirmi felice ogni volta che tornavo al mio romanzo.
Brillare sulla neve.
Mi piacciono gli eventi straordinari che per un po' cambiano il corso degli eventi, li rallentano o addirittura li fermano, li sovvertono. Ho bisogno che ogni tanto le cose inaspettatamente si fermino e comincino da un'altra parte, in un altro modo. Mi dispiace ma oggi non potrò raggiungerti perché nevica, la bicicletta scivola sulla strada e dovremo aspettarci. Cade la neve e i rumori sono lontani. I rami, le meline del sorbo e sopra a tutto la neve. Un giorno ho scoperto che c'è un signore che costruisce mangiatoie e case per gli uccellini, le fa con dei tetti a punta meravigliosi, piene di finestrelle e porticine, coloratissime. Le costruisce a mano con il legno e poi non le vorrebbe mai vendere, la moglie allora fa dei video in cui gli chiede di raccontare di quella mangiatoia che ha appena finito di verniciare ma lui dice solo: questa adesso la tengo un po' con me e poi la vendiamo più avanti, la vendiamo l'autunno prossimo, dai. La moglie ride, gliela toglie di mano, la appende, fa una foto e la mette in vendita sul sito. Ecco la neve è per me comparabile al tempo che questo uomo trascorre nel suo laboratorio a fare i tetti a punta alle casette per le ghiandaie, e alla fermezza con cui non le vuole vendere. Somiglia anche ai bambini, i miei adorati bambini, esseri incantati, alchimisti. La neve, dicevo, scorre da millenni nel mio sangue. Anche da lì arriva la lezione sulla felicità, sappiamo sempre cosa ci rende felici, per cosa siamo nati, di cosa abbiamo bisogno quando stiamo male. E lo chiediamo, in questo tempo senza ascolto, ma poi la spontaneità si perde nella ricerca dei motivi che spingono i desideri e i bisogni. Che spingono le cure che conosciamo per noi. Che inganno dover pazientare o perfino perdere lo slancio e finire magari addirittura per non credere a ciò che misteriosamente si rivela e arriva proprio dal sangue, traspare dagli organi interni e poi sulla pelle fino a raggiungere le parole e lasciarsi dire. Ho bisogno della neve. E dei bambini. Delle ore di buio. Di scomparire per molti giorni e poi tornare. I nostri antenati ci mandano qui con un'indicazione precisa: godere a pieno della vita. E sono certa che ci mandino qui anche con una specie di fagottino con dentro le nostre predilezioni tutte perfettamente al sicuro, potenti.
Una volta io e la mia bambina abbiamo preso un po' di neve e l'abbiamo posata sul cotone e poi l'abbiamo conservata in una scatolina azzurra, volevamo che quella gioia non finisse mai. Ecco allora forse dove va a finire il bianco quando si scioglie la neve: non finisce mai.
* Quand fondra la neige, où ira le blanc è il titolo di un'opera di Rémy Zuagg
Sara Gamberini
Così, siamo alla fine di questo numero, di questo atlante e di questo anno: abbiamo scelto la neve perché la neve è una manifestazione della magia. È un fenomeno atmosferico, del mondo naturale, con una spiegazione fisica piuttosto semplice, ma le parole che si rincorrono in questi pezzi sono amore, memoria, felicità, purezza. Anche le stelle appartengono alle leggi della fisica, eppure ci stupiscono standoci sopra la testa ogni notte; così come l’organicazione del carbonio ha una sua spiegazione chimica, eppure la fotosintesi è un incantesimo che si ripete, incessante, ovunque sulla Terra arrivi la luce, ed è luce che mette la vita nella materia che non ne ha: a pensarci, pensarci bene, che cosa straordinaria è?
Il mio ricordo della neve risale a dicembre 2009, Trastevere, un pranzo con colleghe e colleghi – e allora, quello era un pranzo di famiglia – dalle finestre dell’osteria vediamo i primi fiocchi. Una strana magia, incredibile. Alla fine del pranzo sono rimasta ferma, da sola, su Ponte Sisto, a guardare la neve cadere sul Tevere e sciogliersi subito sulla superficie dell’acqua, con la sensazione precisa di assistere a una magia che appare solo per un attimo e poi scompare. A casa c’era un bambino di due mesi, che mi aspettava come possono aspettare i bambini di quell’età, che non sanno percepire un ritorno o un attesa, ma solo un esserci/non esserci binario, che esiste solo nel momento in cui è. E io, in quel lungo momento di indecisione, non c’ero, non volevo esserci, ero in piedi in un altro luogo a guardare la neve scomparire.
Il ritorno è stato lungo, i treni erano in tilt, poi le strade anche, non avevo mai guidato con la neve – amici del Nord e delle grandi altitudini, lo so che state sorridendo: erano pochi centimetri, ma, oh, io e le auto abbiamo un rapporto particolare e non propriamente liscio e soprattutto: qui nevica ogni dieci anni, frequenza che si sta anche allungando, non siamo capaci –, ma poi sono arrivata, e c’ero. E c’era ancora anche la neve; e c’era ancora, e c’è, la magia, la protezione, lo stupore, le leggi della fisica e quelle della chimica e quelle dei corpi, e anche le leggi dell’inspiegabile, solo che non le conosciamo.
Barbara
Ci vediamo nel 2025, stai bene, guardati intorno, cerca un incantesimo, fallo accadere: eccoti qui.