La luna è nuova da ieri, io invece ho sempre la vecchia tendenza a fare tardi, a distrarmi, a cedere alla stanchezza
Dicembre avrà ben due noviluni: quello di ieri, e poi quello che anticipa l’anno nuovo, del 30 dicembre.
Per il numero di oggi – che siamo in ritardo l’abbiamo già detto – parliamo di arance, perché le ho raccolte proprio stamattina e sono così contenta, e di melangoli magici, con l’illustratore e fumettista Marco Petrella che, partendo dal suo libro Si muove la città (Quinto Quarto), ci racconta il giardino degli aranci di Roma.
La cosa straordinaria che sa fare questo libro, che ho amato tantissimo, è guardare la città dai suoi alberi, dalla memoria, individuale, collettiva, musicale, per capire le trasformazioni urbanistiche, le visioni e le ambizioni, per Roma, che ci sono state e tutte quelle deluse. Tra le pagine illustrate – e che insieme alle illustrazioni raccolgono articoli di giornale, biglietti dei concerti e quelli del cinema – c’è quella nostalgia per una Roma quasi scomparsa, che non è mai ripiegato sul passato ma che spinge a riflettere su quali sono le emozioni, le spinte, i desideri su cui costruire un’idea di città per il futuro più prossimo, comunitario, condiviso, vivo.
Ma parliamo anche di una delle poche semine che si potevano fare il mese scorso, quella dei ravanelli, grazie a Stefania Giommi, che ha raccontato l’esperienza che abbiamo fatto a Oriolo, a novembre, fra semi, percorsi accidentati, lucertole piccolissime e falchi altissimi. Le ho chiesto se potessi pubblicarlo perché sono righe oneste che raccontano bene una sensazione che ho addosso spesso: il senso di inadeguatezza, quel guardare gli altri e vederli sempre molto più a loro agio, nel mondo, rispetto a me. E poi perché Stefania è stata una folgorazione: una persona meravigliosa che spero di incrociare ancora.
A proposito di persone meravigliose: sabato scorso c’è stata l’assemblea dell’associazione Terra!, di tutte quelle a cui ho partecipato (non troppe ma nemmeno poche) è stata la più aperta, partecipata, anche entusiasta, spesso commovente. Ma fra tante cose dette, due interventi mi hanno colpita di più: quello di Lucio Cavazzoni, ex presidente di Alce Nero, ora nel Biodistretto dell’Appennino bolognese, che ha tirato dentro, con forza, la parola guerra: senza un rifiuto netto, arrabbiato, indignato dell’idea stessa della guerra come risoluzione dei conflitti non si può parlare di nient’altro.
E poi Sara Fiordaliso, di Nonna Roma. Banco del mutuo soccorso, che ha reso chiari i legami fra gli aspetti sociali, politici e ambientali del diritto al cibo.
Mentre sabato prossimo, 7 dicembre, a Bologna, nel Forum per le transizioni giuste, coordiniamo il tavolo sulle politiche territoriali del cibo, sempre con Terra! e con Ci sarà un bel clima, con cui abbiamo condiviso un’importante parte del percorso che ha portato alla definizione delle proposte degli Stati generali dell’azione per il clima.
Fine comunicazioni di servizio (e di cuore).
Questo numero si chiuderà con un’insalata e una gatta assassina.
Sarò veloce, non preoccuparti, via.
Dell’equivoco arancia/melangolo
Gli studenti salivano all’Aventino dopo aver fatto sega a scuola.
Si arrampicavano sugli alberi e ne coglievano i frutti, poi mordendoli, delusi dal sapore amaro, se li tiravano a vicenda o bersagliavano le macchine sul lungotevere di sotto dalla terrazza del Parco degli Aranci.
Capitavano nel giardino anche signore che chiedevano il permesso di coglierle per farne marmellate.
Addirittura un tizio si dichiarava diabetico, quasi obbligato a fare marmellate di arance amare data la sua patologia.
Sotto quei bassi alberi spesso dunque restavano bucce e frutti maltrattati che noi giardinieri spazzavamo via ogni mattina quando pulivamo cestini e cartacce.
Il periodo più poetico era naturalmente la primavera, quando una pioggerellina delicata non faceva pozzanghere ma spargeva nel giardino un delicato profumo di agrumi.
Nel marzo dell’84 passavo di albero in albero con scala e forbicioni, a potare i rami toccati dalla inconsueta nevicata di gennaio, una specie di barone rampante che osservava dall’alto mamme, bambini, turisti giapponesi.
Maggio era il mese delle spose, le numerose chiese del colle attraevano le giovani coppie ansiose di potersi mettere in posa sul prato o con la vista su Roma, a recitare il copione dettato dai fotografi.
Il colle d’altronde, fin dai tempi dei romani, sovrastava le paludi alluvionate del Tevere ed era sede dei templi religiosi.
Sulle piante di quegli edifici vennero edificate le chiese cristiane.
In quella dedicata a Santa Sabina, giusto fuori dal parco, si trova il melangolo centenario che la leggenda vuole sia stato piantato da San Domenico e che muore e ricresce da moltissimi anni.
Entrando nel portico della chiesa, sulla parete di fronte al magnifico portale in legno intagliato del XII secolo, possiamo vederlo attraverso una finestra/oblò che si affaccia sul chiostro e sulla pianta miracolosa.
D’estate il Parco degli Aranci è un rifugio dal caldo cittadino, spesso c’è qualcuno che suona vicino alla terrazza o semplicemente si rinfresca alla fontanella.
Per avere un’idea della città, della sua disposizione, basta affacciarsi dalla sua terrazza e vedere come Trastevere sia davvero al di là del fiume, come i platani accompagnino l’itinerario dell’acqua verso la sinagoga; oppure riuscire ad individuare la cupola del Pantheon o sull’orizzonte Trinità de’ Monti, Villa Medici e Villa Borghese. Naturalmente San Pietro, proprio lì di fronte, ed il Gianicolo.
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Marco Petrella è illustratore e fumettista.
Collabora con la Lettura, inserto culturale del Corriere della Sera.
Ha disegnato le copertine di Edoardo Sanguineti per Feltrinelli editore.
Per Momo edizioni ha illustrato Mia patria sono gli oppressi, scritto da Vanessa Roghi, per il centenario di Don Milani.
Per Andante books ha disegnato un piccolo omaggio a Pino Pascali con testo di Roberto Lacarbonara.
Per Vita da Bianciardi, biografia di Luciano Bianciardi scritta da Pierluigi Barberio, realizza copertina ed otto illustrazioni interne (Momo edizioni).
Disegna Keith in Rome sulla storia del graffito di Keith Haring rimosso dal Palazzo delle Esposizioni per Tic! Edizioni (2024).
È appena uscito Si muove la città, edito da Quinto quarto, autobiografia di un giardiniere nella Roma anni ’80. Concerti, mostre, innamoramenti.
Cronaca di un sabato
All'uscita della piazza dove Palazzo Altieri svetta maestoso e severo, attraversata la via Clodia, iniziamo a scendere.
Una discesa asfaltata solo per un piccolo tratto, poi solo terra e ciottoli.
L'ultima casa sulla destra sembra guardarmi interrogativa: ehi tu, dove vai? Sai quello che stai facendo?
Torna indietro, ORA! pare gridarmi.
Incurante me la lascio alle spalle, passo anche il rassicurante muretto di recinzione, tutto cemento e rete metallica: 'na sicurezza!
Ma niente, io proseguo.
Il sentiero di terra, scavato dalle piogge violente inizia a darmi delle preoccupazioni. I sassi affiorano dal terreno e invece di disporsi in piano per agevolare il passo già incerto di per sé, pare facciano a gara per assumere le pose più strane e complicate, di taglio, di sbieco, uno sopra l'altro... inizio a pentirmi di aver accettato questa escursione a Prato Conca.
È un percorso facile, dicevano.
Facile per chi?
Forse per i due ragazzi, forse per le giovani signore che chiacchierano amabilmente tra loro mentre il sentiero si snoda largo e infido sotto i nostri piedi, non certo per me, che oltretutto penso che tutta questa discesa, tra poco, al ritorno, si trasformerà magicamente in salita.
Fermati, penso.
Ma non voglio cedere, perché tra tanti solo io devo arrendermi?
Continuo a scendere guardando dove metto i piedi, con gli occhi però vago anche ai lati della strada.
L'odore forte di terra bagnata, di funghi, di legna fradicia e ormai marcescente mi inquieta, mi fa sentire a disagio.
Avanti, andiamo avanti!
È il momento di dedicarsi ad un piccolo, grande gesto simbolico, piantare dei semi: quando mi offrono la bustina, rifiuto.
Non so perché, so che non mi va e non voglio farlo.
La comitiva invece sembra apprezzare molto la simbologia di quel gesto: c'è il passato, il seme conservato dal raccolto dell'anno prima; c'è il presente, la posa a dimora dei semi di ravanello; c'è il futuro, la nascita e la crescita della pianta.
E poi c'è lui, il caso che può scombinare tutto.
Dopo la semina la brigata riparte e poco dopo ci ritroviamo in una radura verde, aperta e assolata, un sole raro per essere una giornata di novembre.
Guardandomi intorno cerco punti di riferimento, all'improvviso mi rendo conto che il prato è circondato da un fitto bosco ceduo.
Niente di familiare e rassicurante, niente case, auto, strade... Nessuna forma di vita animale, eppure devono esserci, per forza. Volpi, cinghiali, istrici, uccelli, tutti rigorosamente nascosti, solo erbe, qualche coraggiosa margherita, cespugli e tanti alberi intorno.
Mi sento a disagio, mi sento osservata, come ci fossi solo io su quel prato.
Gli alberi intorno sono tutti giovani e dritti, sembrano fissarmi e mi pare di sentire un leggero mormorio: perché non l'hai fatto? Perché non hai voluto piantare i semi? Di cosa avevi paura? Della responsabilità?
Provo a distrarmi, guardo l'erba sotto i miei piedi, sembra fragile, tenera, se calpestata, si piega, si stende, si appiattisce salvo poi rialzarsi appena diminuisce la pressione.
Dalla pedana di legno poggiata ai piedi di una quercia, sbuca timida e piccolissima una lucertola marrone, subito dopo altre due.
Coraggiose, penso.
Tutti questi umani intorno potrebbero schiacciarle anche non volendo. Ma loro, non so se per troppa fiducia o per semplice incoscienza, proseguono, vogliono il loro posto al sole e l'ottengono senza apparente sforzo.
Decido che basta: volevo passare una giornata diversa ma non mi aspettavo questo bagno emozionale. Mi avvio sulla strada del ritorno, tremando ad ogni passo, temendo chissà quale agguato da chissà quale essere.
Alzo gli occhi al cielo, azzurro e pulito e lo vedo, un maestoso falco, vola calmo e spazioso, le sue ali non sembrano muoversi, nessun movimento che denoti fatica, prosegue la sua rotta, incurante del giudizio degli altri.
Ecco, dovrei fare come lui, imparare a planare sui problemi, scrollarmi di dosso i carichi pesanti e volare in alto!
Mi rincuoro, passo dopo passo mi inerpico su per la salita, fatico, ma accelero, contro forze nascoste, anche quella di gravità che mi tira verso il basso.
Ce la farò, mi dico, ce la devo fare, voglio tornare a respirare.
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Stefania Giommi è una delle anime della Casa delle Donne di Vetralla. Ha partecipato al laboratorio Della terra, delle radici, del tempo, questo testo è nato in quei giorni.
Un’insalata per Franzen
C’è questo albero di arance, qui fuori, lato nord di casa, al riparo dai venti più freddi perché vicino alla legnaia, che ne ha passate diverse.
La cocciniglia, intanto, che ha una predilezione per questa pianta e la attacca ciclicamente. La cocciniglia degli agrumi si chiama cotonosa, perché ti distrae facendo questi batuffoli carini mentre succhia via la linfa. Lo scorso anno, per compensare i ciuffetti bianchi, è arrivata anche la fuliggine, un fungo che invece sembra aver lanciato sulla chioma manciate di polvere di carbone.
E quest’estate, la gatta che vive qui e che sarebbe l’incubo di Franzen, si è arrampicata troppo in alto, ingaggiando qualche battaglia furiosa con degli uccelli che avevano fatto il nido, e il risultato è stato un ramo spezzato e molte delle arance, che allora erano ancora piccole e verdi, cadute. Non esattamente quello che si auguravano tutte le persone che passandogli davanti dicevano: dovreste potarlo, così soffre. Penso intendessero una potatura vera, ma oh, la gatta si è offerta per il lavoro e chi sono io per non accettare i doni di una felina assassina.
Ma poi: arriva dicembre, e l’arancio segue la sua indole: fa le arance.
Mentre il susino forse non ha superato l’estate, l’arancio ha aggirato le sue disavventure apparentemente bene, ed è carico: stamattina ho raccolto una cassetta di agrumi.
C’è una specie di allineamento gastronomico nei tempi di maturazione delle cose, per cui a dicembre ci sono i finocchi, il radicchio, le olive conservate ormai pronte da mangiare, l’olio nuovo, e le arance. Non è una ricetta di un’insalata, è un appuntamento in calendario.
Anche per stavolta è tutto, grazie.
Braccia Rubate torna con un’edizione speciale di fine anno, per il plenilunio del 15 dicembre: parleremo di neve.
Se ti va di raccontare qual è la tua ricetta di dicembre, scrivi a bracciarubatenewsletter@gmail.com.
Buon melangolo,
Barbara